Il convegno sul grande autore de I promessi sposi riaccende la discussione sulla genesi della letteratura di genere. Ne hanno parlato docenti, scrittori e Marco Bellocchio che con Sangue del mio sangue offre una personale interpretazione delle vicende della Monaca di Monza. Un articolo di Erika Patruno
«Lo spazio delle donne è ancora tutto da raccontare». È questo il cuore dell’incontro ideato e coordinato da Cinzia Masòtina e Marina Fabbri, tenutosi nella splendida cornice di Casa Manzoni dedicato al rapporto dell’autore milanese con il noir e al caso di Marianna De Leyva, conosciuta più comunemente come la monaca di Monza.
Mauro Novelli, professore di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università Statale di Milano e direttore di Casa Manzoni, ha ricordato che seppure per molti la figura di Manzoni non richiami immediatamente al noir, egli è invece, da considerarsi un precursore a tutti gli effetti del genere e non solo nella sua forma più squisitamente narrativa, ma anche visuale e spettacolare.
È proprio nei due capitoli, dedicati a Gertrude, che Manzoni ristabilisce la memoria della monaca, donandole una nuova e ritrovata dignità.
Daniela Brogi, professoressa di Letteratura italiana contemporanea all’Università per Stranieri di Siena, ha brillantemente evidenziato nel suo intervento cinque parole chiave che racchiudono gli aspetti fondamentali della vicenda travagliata di Gertrude ma che al contempo parlano della nostra realtà e attualità: romanzesca, vocazione, infanzia, fantasia e ascolto.
«La fantasia delle donne è una stanza buia», continua Brogi. È proprio questa condizione asfittica e coatta che crea l’urgenza della libertà. La storia della monaca di Monza è dunque quella di una donna tra mistero e peccato, tra dolore e brutalità che la eleva a un personaggio estremamente noir, che tra orrido e paura cerca la sua libertà».
A seguire è intervenuto Giancarlo De Cataldo che con la stessa argutezza con cui ha presentato l’incontro di ieri con Harald Gilbers, ha criticato la scelta di numerosi scrittori dell’Ottocento, tra cui Manzoni, di edulcorare il male per paura di scadere nel romanzo di genere.
La seconda metà della giornata è iniziata con la partecipazione straordinaria del regista Marco Bellocchio: «Ho capito il peso de I promessi sposi solo recentemente», così ha esordito uno dei grandi maestri del cinema italiano.
Il film Sangue del mio sangue, presentato alla Mostra di Venezia nel 2015, ed evento speciale di questa edizione del festival, è fortemente ispirato al caso di Marianna De Leyva. Il regista, però, non si è limitato semplicemente a tracciare il fatto storico bensì ha implementato, alla già travagliata vicenda, una forte componente personale ed emotiva, scegliendo come ambientazione Bobbio, la città nel piacentino che gli ha dato i natali.
Per Bellocchio il rapporto con la verità storica e la libertà dell’autore non sono due aspetti distanti, bensì sono elementi complementari che possono essere intrecciati per creare un nuovo significato, andando a rafforzare il messaggio della verità.
Il regista, incalzato dalle domande del direttore del festival Giorgio Gosetti, conclude raccontando la sua particolare affezione alla storia del paese, in particolare al periodo dei movimenti anni Sessanta e Settanta, che coincidono con il suo esordio nel mondo del cinema.
Dal canto loro, gli scrittori Ben Pastor e Marcello Simoni, moderati da Luca Crovi, hanno approfondito il ruolo dominante dei grandi autori dell’Ottocento, sulla genesi del genere noir. Inoltre, hanno trattato in maniera approfondita il tema del falso storico nelle opere contemporanee.
A Casa Manzoni, infine, è intervenuta anche Diana Alessandra De Marchi: assessore alle pari opportunità e diritti civili del comune di Milano che ha ricordato l’estrema pervasività della figura della monaca di Monza all’interno del tessuto cittadino milanese.