Daniel Pennac, Raymond Chandler Award 2023, ha incontrato in IULM studenti e professori, invitandoli a non essere moralizzatori
«Daniel Pennac dice di aver scoperto la sua vocazione per il noir grazie a una scommessa. Daniel Pennac ha fatto però di Benjamin Malaussène il più originale e appassionante antieroe del genere, uomo mite e ironico che, da un romanzo all’altro, si è dimostrato il fulcro di un mondo colorato e pieno di felici contraddizioni che ha sedotto ogni tipo di lettore. La sua Belleville rimane un presidio di umanità che ci difende dagli orrori che attraversano il nostro tempo. Salutarlo oggi come degno erede di Raymond Chandler e festeggiare Malaussène come Philip Marlowe ci appare come uno spettacolare paradosso che restituisce nuova linfa al Noir senza intaccarne i valori etici, sociali, civili su cui si regge da sempre. Salutiamo in Daniel Pennac un grande campione della migliore letteratura, un ironico osservatore dei meccanismi del racconto che sa piegare con inedita originalità alla sua visione del mondo. La sua voce fa oggi da contraltare alle tante e prestigiose che riempiono l’albo d’oro di questo premio; ne è più che degno vincitore ma, rispetto ad ogni altro, spicca per la sua unicità».
Con questa motivazione, il Noir in Festival ha consegnato a Daniel Pennac il Raymond Chandler Award 2023, presso la Casa del Manzoni, con la complicità di Giancarlo De Cataldo (a fine articolo, il video dell’incontro).
Prima di ricevere l’ambito riconoscimento, il creatore della saga dei Malaussène, ha incontrato gli studenti di IULM e dialogato con lo scrittore e semiologo Stefano Bartezzaghi, ribattezzato da Pennac, «Bartéz».
«Il motivo per cui sono diventato romanziere è stato grazie a un professore a scuola che mi ha detto: scrivi un romanzo. Quel giorno, ho ricevuto una lezione di scrittura e di pedagogia – ha raccontato Pennac –. La sua proposta era una reazione al mio continuo mentire. Ero veramente un pessimo allievo in tutte le materie. E quando accade una cosa del genere, ci si trova davanti a due tipi di professore: quello maggioritario, il moralizzatore, che ti dice che con i bugiardi non si combina nulla. Poi esiste un altro tipo, minoritario, che ragiona in modo pedagogico, che decide di fare il proprio mestiere. E il mio professore faceva parte proprio di quel dieci percento che cerca di creare una relazione tra l’immaginazione e la materia che insegna. Così mi ha detto: “Ascoltami. Ora devi smetterla con le tue stronzate. Cerca di utilizzare la tua immaginazione. E con questa mi scriverai un romanzo. Per il prossimo trimestre, voglio dieci pagine a settimana. E alla fine del periodo il tuo romanzo dovrà essere concluso. E voglio che lavori con un dizionario aperto accanto a te. E che controlli tutto. Anche quelle parole che pensi già di saper scrivere”. Avevo quindici anni. Ora ne ho molti di più. Sono diventato scrittore, sono diventato professore e da sessantatré anni lavoro con un dizionario aperto al mio fianco»!
Ecco l’inizio di una storia, quella di Pennac e delle sue creature narrative, che in un certo senso, vista la platea composta da studenti e docenti, può essere interpretata come un’esortazione a immaginare, a non fermarsi di fronte a difficoltà e pregiudizi.