Due novità editoriali, «Viaggio notturno» e «È successo un guaio», come occasione per parlare di graphic novel, di noir e dell’immagine del Festival firmata dall’autrice di Cagliari

 

Lorenzo Palloni è autore di fumetti da ormai tanto tempo, nonostante un’età ancora giovane. Un fumettista legato al noir, anche se nel suo curriculum sono presenti la fantascienza, l’horror e le commedie. Qui al Festival è arrivato per presentare la sua serie ambientata a La Spezia (città dove ha vissuto sette anni), È successo un guaio. All’interno della sezione dedicata al fumetto, però, si è andati oltre la presentazione di una nuova pubblicazione. Un’occasione per riflettere intorno a un’arte e al suo legame col genere.

«Non è scontato parlare di fumetto noir – ha esordito Palloni –, perché nella mente di chi legge fumetti, il noir richiama agli anni Settanta, il cosiddetto “nero italiano”, cioè Diabolik, Satanik, Cattivik, in altre parole il “fattore K”. In realtà, il noir essendo un dispositivo per leggere la società, non ha scadenza. Il noir insomma, è un’etichetta contemporanea per un tipo di letteratura con certe dinamiche».

«Io vengo da una vita di letture, soprattutto noir – ha poi spiegato Palloni –. A un certo punto mi è venuto istintivo unire le cose. Quando avevo sei anni, ho iniziato a leggere Ian Fleming e i suoi 007, perché i libri per bambini mi annoiavano. In effetti, a quell’età già leggevo di tette, culi ed esplosioni! E i finali di quei libri erano agghiaccianti, tremendi. Lui perdeva sempre e tutto terminava con un cliffhanger. E di conseguenza non sono mai tornato a leggere cose per ragazzi. Che poi è uno dei motivi per cui non scrivo quel tipo di libri. Insomma, mi è venuto istintivo, portare dentro i miei fumetti, i codici del noir».

Vanna Vinci, era a Milano alla IULM non solo per presentare il suo Viaggio notturno, giunto al terzo capitolo (I sotterranei), in attesa di un quarto in uscita il prossimo anno.

La fumettista nata a Cagliari, infatti, ha firmato l’immagine di questa edizione del Noir in Festival. «Quando mi è stato chiesto di realizzarla – ha raccontato Vinci –, ho immediatamente pensato al personaggio de La fiamma del peccato (Double Indemnity) di Billy Wilder, Phyllis Dietrichson interpretata da una stratosferica Barbara Stanwyck. Il film è uno dei miei preferiti e lei è la super cattiva, la super femme fatale. Mi è venuta in mente una sequenza visivamente sconvolgente, nella quale lei e Walter Neff (Fred MacMurray – ndr) decidono di uccidere il marito. Cioè lo decide lei, l’altro le va dietro. Questa scena si svolge in un supermercato. Sono gli anni Quaranta. E lei ha questi occhiali neri, dei capelli biondi e un rossetto. Ed è assolutamente a-mimica. Dal suo volto non traspare alcun tipo d’emozione. Non vediamo gli occhi. È iper algida. Quindi ho disegnato Barbara Stanwyck in questa situazione, quasi congelata, aggiungendole un guanto e una sigaretta per aumentare l’idea della distanza, e poi ho preso un fondo, sempre tratto dal film, ma rielaborato in modo che potesse sembrare una scena ambientata in un posto qualsiasi. È un’immagine molto anni Quaranta, quindi molto datata. Allo stesso tempo, forse per le spalle o per il vestito, mi riportava agli anni Ottanta. Quindi, l’idea era di utilizzare dei colori primari, il giallo, il magenta del rossetto, il ciano per il fondo, il rosso della sigaretta. Colori che raccontano gli anni Ottanta e che si riferiscono, in termini creativi, a un’epoca mitica di Milano».