Cinque libri con trame investigative e poliziesche e non solo. Terre da cui si parte e verso le quasi si fa ritorno per scoprire, prima ancora dei colpevoli, il senso della propria esistenza

È storia ormai nota. Ha vinto il Pinguino di Orso Tosco, autore alla sua prima (e non ultima) escursione nel romanzo noir. La premiazione del Premio Giorgio Scerbanenco, però, non è soltanto una cerimonia che celebra un’affermazione. Sarebbe ingeneroso nei confronti di chi ha partecipato e ha aspirato fino alla fine al riconoscimento di miglior noir italiano dell’anno. L’evento finale di questa «competizione» ha offerto spunti per osservare il cosiddetto stato dell’arte. Soprattutto in un’edizione con quattro scrittori e una scrittrice in possesso di una bibliografia non estesa. Segno di un rinnovamento. Non di un ricambio, perché autrici e autori che hanno fatto la storia del Premio godono di buona salute e continuano il loro percorso. Semplicemente, la letteratura di genere vanta nuovi nomi.

E dunque oltre a L’ultimo pinguino delle Langhe di Orso Tosco, a Casa Manzoni, sono stati presentati uno dopo l’altro, Il sangue non mente di Cinzia Bomoll, La montagna nel lago di Jacopo De Michelis, Meccanica di un addio di Carlo Calabrò e Una morte onorevole di Paolo Roversi. Cinque voci diverse con dei punti in comune. Uno su tutti, la centralità dei luoghi. Che si tratti di province, di isole sperdute, di metropoli, le ambientazioni di questi libri sono state elevate a protagoniste delle storie. Scorrendo le pagine di questi romanzi, è quasi possibile ridisegnare un atlante italiano con uno sconfinamento tra la Svizzera e il Sud America.

«Il Brasile è una parte importantissima della mia vita che amo moltissimo». L’Amazzonia di Calabrò, tuttavia (o forse proprio per questo forte sentimento), è motivo di conflitto tra punti di vista, tra chi pensa a un sistema e chi ne attua un altro. Come si vive in un luogo che non è il proprio? È possibile un compromesso, soprattutto, quando vi è di mezzo un crimine?

Una piccola isola sul Lago d’Iseo è dove si ritrovano i personaggi di Jacopo De Michelis. Un padre, un figlio, due amici. Si erano persi, allontanati e ora sono di nuovo insieme in quello spazio ristretto di Monte Isola. Ovviamente, la causa di tutto è un delitto. Il protagonista, Pietro Rota, è costretto a tornare in un luogo nel quale si era sempre sentito un «estraneo e un prigioniero». Lui sogna, nella grande città, di diventare un inviato speciale, uno che «svelerà gli inganni del potere» e si ritrova a «scribacchiare». Dopo dieci anni è al punto di partenza anche per aiutare suo padre, accusato di un omicidio.

«Oltre a una vicenda poliziesca, La montagna nel lago è la storia di un ritorno di un giovane che ha abbandonato l’angusto e un po’ gretto paesino di provincia – spiega De Michelis –. Un ritorno che lo impegnerà non solo a livello investigativo ma anche su un piano esistenziale, emotivo e relazionale. E questo è il secondo piano narrativo». Accanto o dentro la vicenda noir, si intrecciano questioni famigliari, amicali e sentimentali. Rapporti complessi all’interno di un luogo che forse era una prigione e che, dopo le tante esperienze fallimentari, potrebbe essere diventato un «paradiso perduto».

Un luogo familiare all’autrice, è quello che esploriamo ne Il sangue non mente. Cinzia Bomoll nel raccontare una nuova avventura di Nives Bonora, sposta l’azione dell’ispettrice a Bologna, la città dove vive la scrittrice, regista e sceneggiatrice: «Io vengo dalla provincia che assomigliava a quella ferrarese dei precedenti romanzi. Dopo tanti anni a Roma, sono tornata nelle mie zone d’origine che, forse, le ho riviste per la prima volta un po’ come fanno i turisti, perché ero stata via tanto. E proprio per questo ho scelto l’Emilia per ambientare i miei libri. Per questa nostalgia e, al tempo stesso, per questa scoperta. Volevo indagare su luoghi a me noti che però non conoscevo così bene».

Ligure come il suo creatore, Gualtiero Bova, il Pinguino, ora è in Piemonte tra le colline delle Langhe. Il suo paradiso sono le trattorie, tra antipasti freddi e caldi, primi e secondi, contorni e dolci, vino e ammazzacaffè. «È un uomo molto ammaccato – racconta Orso Tosco –, è un degno esponente della maggioranza dell’umanità. Io vedo un’umanità molto ammaccata, molto in difficoltà per ovvie ragioni. Questi tempi sono particolarmente feroci e bui». Il nuovo vincitore del Premio Giorgio Scerbanenco, ha narrato l’affinità tra la Liguria e il Piemonte: «Tenevo, soprattutto, a celebrare la provincia profonda italiana che, secondo me, è spesso un po’ maltrattata, descritta in maniera sbrigativa come una sorta di purgatorio dove tutti sognano di andar via. In realtà, è un serbatoio incantevole di personaggi eccentrici, è una grande produttrice di stranezze. Credo lo sia perché lascia più spazio, e in certi casi più desolazione. E quindi gli eccentrici, gli strambi, gli spostati hanno modo di costruire una sorta di auto-mitologia».

Paolo Roversi ha optato per il giallo classico. Il suo Luca Botero è una specie di Sherlock Holmes ai tempi nostri. Una contemporaneità particolare, va aggiunto, senza uso di tecnologie. Un nottambulo che si muove nella Milano che pare quella di Scerbanenco e del Duca Lamberti: «A me piace Milano perché è un palcoscenico per raccontare storie». Magari quelle ascoltate da Botero che gira la città a piedi e in tram.

La giornata dedicata al noir non poteva concludersi con una nota finale sul male. Ed è stato proprio Roversi a intonarla: «I motivi per cui si uccide sono sempre gli stessi. Gelosia, potere, guadagno personale, vendetta. Perché il giallo non muore mai? Perché i sentimenti con i quali ci immedesimiamo quando li leggiamo sono sempre uguali». Per fortuna, che a essere diverse sono le vite reali di chi scrive e di chi legge, e quelle inventate di esistenze curiose che svelano il nostro mondo.