Donato Carrisi e Gianni Canova presentano rispettivamente L’educazione delle farfalle e Palpebre. Un articolo di Cristina Diaferia
Quali sono i segreti dietro un noir di successo? Donato Carrisi e Gianni Canova, ospiti della doppia intervista condotta da Giorgio Gosetti, hanno provato a riflettere sulle caratteristiche del genere e sulla sua collocazione nel panorama letterario e cinematografico contemporaneo.
«La letteratura deve assecondare gli istinti più segreti delle persone», dice Carrisi, in libreria con il suo nuovo romanzo, L’educazione delle farfalle, attraverso il quale compie un viaggio alla scoperta delle ossessioni della mente umana. Il racconto viene concepito dall’autore pugliese come utile strumento per poter esorcizzare gli impulsi più tetri che ciascun individuo cova, creando così un «cortocircuito tra orrore e compassione» a partire dal quale le storie si generano.
Un romanzo, quello di Carrisi, che fa «lo striptease di se stesso», per usare le parole di Gianni Canova, il quale lucidamente sottolinea l’abile esercizio di stile di cui il suo collega dà prova con la sua recente pubblicazione. Anche Palpebre, tornato sugli scaffali con una nuova edizione curata da Garzanti, esprime il tentativo da parte di Canova di indagare il lato oscuro dell’essere umano a partire dalla fascinazione per il male che caratterizza la società contemporanea. La spettacolarizzazione della morte e del dolore costituisce una tendenza piuttosto evidente nel contemporaneo, influenzata anche dall’esposizione mediatica di avvenimenti di cronaca nera che costituiscono terreno fertile per nuovi prodotti mediali; si tratta di una «pornografia del dolore» in grado di assuefare lo sguardo dell’individuo dinanzi alle altrui sofferenze.
Sulla centralità dell’occhio nella creazione narrativa i due autori concordano: «siamo dei voyeur» dice Carrisi, evidenziando proprio lo spirito osservativo che tanto caratterizza lo scrittore. «L’inferno sta nel dover guardare, avere gli occhi aperti sull’orrore che ti sta intorno» aggiunge Canova, che con il suo romanzo riflette sul peso delle palpebre e sull’importanza dello sguardo sul mondo.
Le visioni orrorifiche del moderno sono, quindi, la base di partenza per il genere noir in cui si avverte la forte commistione tra realtà e finzione. In merito al futuro del genere crime, entrambi gli autori avvertono un pericoloso cambiamento che per Carrisi assume le tinte di una scivolata verso il grottesco mentre per Canova si tratterebbe di una perdita dell’idea stessa del genere, «non c’è più un tirante sociologico-morale collettivo».
Tuttavia, la tendenza evidenziata dai due protagonisti dell’incontro, è distante dalla definitiva morte del genere. A cambiare sono piuttosto le modalità per cui è necessario rieducare lo sguardo. Lo scrittore deve superare l’assuefazione tipica del contemporaneo per cercare nuove forme, proprio come un mediatore deve individuare nuove pupille in grado di osservare le storie in modalità differenti. Da questo punto di vista, entrambi sono concordi nel ritenere essenziale il dialogo, il confronto con gli altri per poter comprendere al meglio la propria visione.
In merito alla creatività al quale lo scrittore contemporaneo è chiamato, Carrisi conclude ubicando la categoria a cui lui stesso appartiene, in un «flusso di racconto», sostenendo l’importanza di narrare parte di quel flusso e non di doverne necessariamente determinare la corrente.