Presentato il documentario di Antonietta De Lillo, una lunga intervista condotta insieme a Marcello Garofalo. Al regista, il Festival ha dedicato anche una piccola retrospettiva. Hanno partecipato all’incontro Alice Mariani, Elisabetta Giannini, Fabrizio D’Alessio, Fabio Frizzi e Antonella Fulci.
Un incontro affollato, quasi un assembramento in Rete, ha contraddistinto la presentazione del nuovo documentario di Antonietta De Lillo, Fulci Talks. Una lunga intervista a un regista al quale il Festival dedica anche una piccola ma significativa retrospettiva composta da cinque lungometraggi: Una sull’altra, Non si sevizia un paperino, Sette note in nero, Quando Alice ruppe lo specchio e Le porte del silenzio.
Dopo la presentazione di tutti gli ospiti, Giorgio Gosetti ha ceduto la parola ad Antonietta De Lillo che ha raccontato la genesi di un progetto particolare, nato molti anni fa con la complicità di Marcello Garofalo. «Io sono una regista di facciata, ma dietro tutto questo c’è appunto Marcello Garofalo che poco meno di trent’anni fa, da critico raffinatissimo e da cultore di un cinema considerato di “serie B”, già intravedeva quello che sarebbe successo in seguito. Lui mi conosceva e ha avuto quest’idea un po’ perversa e, al tempo stesso, assolutamente giusta, di farmi incontrare Lucio Fulci. All’epoca avevo fatto dei ritratti riscuotendo un certo successo. Quei giorni passati insieme a chiacchierare ore e ore tutti e tre a casa mia – ha proseguito la regista –, sono diventati un documento raro e unico».
Dunque la parola è passata a Marcello Garofalo, il deus ex machina: «Ho conosciuto Fulci nel 1993 a Napoli presso l’Istituto Francese di Cultura. Era stato invitato per parlare del noir in cinema e letteratura. Andai a questo convegno con l’intenzione di parlargli. Infatti, lo fermai e mi presentai. Poco tempo prima avevo scritto una recensione molto sui generis che riguardava Il gatto nel cervello, un film in bilico tra Federico Fellini, Orson Welles e Woody Allen, interpretato anche da lui. Un cinema nel cinema che mi sorprese tanto. Era un film realizzato senza budget, autartico, anarchico, fascinoso, così balzano, da dire ma come è possibile che il regista di tanti lavori a mio parere importanti, realizzati con un certo gusto, avesse avuto l’idea di mettersi in scena in questa maniera. E allora il nostro incontro partì proprio da questa domanda. Immediatamente si stabilì un feeling tra di noi. E gli chiesi se potevo intervistarlo su tutta la sua filmografia. Lui mi rispose di sì, ma “non tutto oggi”! Da quel giorno iniziammo una lunga conversazione. L’anno seguente, conoscendo Antonietta, le proposi, visto che era sempre attenta alle cose fuori dai generi, di incontrare Fulci per realizzare un documentario».
Un progetto che per realizzarsi è passato necessariamente e quasi interamente attraverso una lunga post-produzione, un anno apparentemente invisibile e che invece è stato intenso e concreto. Lo ha rimarcato De Lillo che non a caso ha voluto con sé in questa presentazione sia Alice Mariani (produttrice esecutiva) che Elisabetta Giannini (montatrice) e Fabrizio D’Alessio (responsabile per il materiale d’archivio), oltre a Fabio Frizzi a cui si debbono le musiche.
Il materiale originale – rivela Fabrizio D’Alessio – era composto da sedici Betacam da mezzora. Io avevo iniziato a lavorare per Antonietta mettendo a posto l’archivio della sua produzione e quando ho visto queste cassette mi sono immediatamente incuriosito. Nel tempo ho insistito affinché almeno potessi vederle. E poi è successo con mio grande piacere che si è arrivati al documentario».
«Riguardo alla musica – ha aggiunto Fabio Frizzi –, Lucio è stato uno dei pochissimi registi nella mia carriera che non ha mai interferito eccessivamente. Lui raccontava delle sua amicizie altolocate, di Chet Baker, del periodo dei musicarelli, che comunque aveva nel cuore. Contrariamente a quello che succede oggi, dove si appoggiano delle musiche provvisorie, Lucio sapeva già quello che voleva. Lui ti raccontava con chiarezza quello che al pubblico doveva arrivare. E lo diceva a ognuno di noi, in modo che il mosaico si colorasse in modo perfetto. Mi stupiva il suo eclettismo. Con lui non ti annoiavi mai. In qualsiasi momento libero, facevi due chiacchiere e scoprivi qualcosa di nuovo».
Ad Antonella Fulci, la figlia di Lucio, è stato affidato il compito della testimonianza privata: «Mio padre viveva di cinema a tutti i livelli. Per certi versi era più uno spettatore che un autore. Lui amava tantissimo fare film. Stava più sul set che a casa. Ricordo che avevamo un periodo d’oro quando papà girava, preparava o finalizzava un film perché a casa c’era un’armonia incredibile, gli si poteva chiedere qualunque cosa, non si arrabbiava mai, era contento di raccontare quello che faceva. Appena il film era chiuso, iniziava a impazzire». Fino al film seguente!