Con lui l’incontro più bello e incredibile della nostra storia di festival. Abbiamo incontrato al Noir, David Cornwell all’alba del nuovo secolo quando, nel 2001, accettò di venire a Courmayeur per ritirare il Raymond Chandler Award.
di Marina Fabbri e Giorgio Gosetti
Dire che per il re della spy story anche questo incontro ebbe il carattere del genere è quasi un’ovvietà che ci fu spiegata però dallo stesso John le Carré: «Per scrivere i miei romanzi disse più o meno , ho bisogno dell’anonimato senza il quale non potrei condurre le ricerche necessarie a ogni romanzo». È come per i critici della gastronomia: ve lo figurate uno che va in giro a fare domande presentandosi come John le Carré? Nulla sarebbe comunque accaduto senza l’intervento, decisivo, di Irene Bignardi, il critico di «La Repubblica» ed ex direttrice del MystFest che negli anni aveva intessuto un rapporto intenso e amichevole con Cornwell, la sua famiglia, il suo agente letterario a Ginevra. Grazie a lei potemmo avere una presentazione, un contatto diretto, un’attenzione che ci sorprese per la semplicità e il calore, doti che solo i Grandi sanno mettere a disposizione con generosità. Dopo un fitto scambio di mail (del festival e del premio voleva sapere tutto con minuziosa e partecipe curiosità) arrivammo al momento fatidico. Stavamo col fiato sospeso finché arrivò una gentile comunicazione del suo agente: «Il signor Cornwell attendeva un incaricato del festival alla terrazza dell’hotel Baur et lac e in auto sarebbe arrivato da noi. Ripartenza? Appena dopo l’incontro pubblico e la consegna del Premio per… destinazione ignota da comunicarsi a tempo debito».
Così passò da noi, quasi un agente segreto in missione. Ma quanta differenza nel mentre! Quanto calore, generosità nel raccontare di sé e del suo lavoro durante il tempo trascorso insieme, quanta vigorosa passione civile nel suo dialogare sulle nefandezze del potere e sulla moralità del mestiere meno morale del mondo, la spia, quanta cura nel ripercorrere i passi dello scrittore americano più inglese di tutti (Raymond Chandler, appunto) e quanto rispetto per il lavoro di tutti noi (a cominciare dalla sua interprete Carla Bellucci) che lo guardavamo come si fa davanti a un mito e ricevevamo invece il calore di un artista appassionato e geniale. Se ne andò nella massima discrezione, con semplicità, ma la lettera che ci indirizzò più tardi, dal suo eremo in Cornovaglia, conteneva un’inattesa gratitudine per quel piccolo-grande premio (una moneta poco più grande di un euro, riproduzione fedele del mitico Doblone Brasher descritto in High Window) a cui è anche oggi legata la nostra storia più bella.
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