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Edizione 2012
 
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  Un testo di Wilson Saba  
 
autore
Wilson Saba
Ricordo perfettamente il giorno in cui ho iniziato a scrivere: avevo sedici anni ed ero iscritto al terzo anno del Liceo Linguistico. Riempivo pagine e pagine di storie sotto forma di operette teatrali, brevi racconti e progetti per piccoli film: lo trovavo un modo per viaggiare senza muovermi, per sognare una vita diversa e per scandagliare il fondo della mia fragile identità d’adolescente. Di far pubblicare le mie sciocchezze non ci pensavo... erano tutte cose molto private, che restano e resteranno sotto chiave.
Nel mio futuro, preferivo pensarmi a leggere… romanzi per lo più. Mi ero appena reso conto che il romanzo restava il mezzo perfetto per esplorare l’animo umano. Un giorno, appena mi sono sentito pronto, ho avvertito l’esigenza (proprio fisiologica) di scrivere il libro che non avevo ancora letto e che mi sarebbe piaciuto leggere: è nato così Sole & baleno, storia di un’educazione sentimentale alla vigilia dell’11 Settembre. Dalla critica è stato definito come un romanzo di formazione, perché descrive l’evoluzione psico-emotiva di un giovane verso l’età adulta. Quel che m’interessa come scrittore è la vita vista con gli occhi dei più giovani, perché credo si possa capire meglio quello che sta succedendo nel mondo. E vorrei poter continuare questo mestiere utilizzando più registri, raccontando storie diverse con trame variabilmente complesse. Se dovessi trovarmi un posto (diciamo anche uno strapuntino!) nel complesso movimento della letteratura contemporanea, lo cercherei nello slipstream (la cosiddetta letteratura della stranezza)… come si può meglio notare nel mio secondo romanzo, Giorni Migliori.
Molto spesso mi chiedo quanto grande sia il debito verso la mia isola, dove ho vissuto l’infanzia e gran parte dell’adolescenza. E il fatto di non saper rispondere a questa domanda, mi provoca un buffo turbamento. Da un lato sono felice di leggere che esiste una vera e propria ondata di scrittori sardi. Dall’altra non vedo un collegamento diretto tra la mia scrittura e quella degli altri, tra la mia scrittura e la mia isola. Ho il brutto vizio di sentirmi un cittadino del mondo, ugualmente attratto dal golfo di Bosa come dal Golfo Persico e invariabilmente debitore a entrambi. Una cosa però mi è ormai chiara: sono sardo fin nelle fibre, nelle ossa, nel midollo…
Una questione che credo mi accomuni ad altri scrittori sardi è l’uso insolito della lingua, non riconducibile a una regionalità, a una scuola o a un movimento. Probabilmente questo dipende dal fatto che noi sardi siamo quasi tutti nati e cresciuti sentendo parole formulate in una lingua diversa e questo ci permette di utilizzare l’italiano come un vero strumento espressivo applicabile a più registri. Per la maggior parte degli scrittori sardi, l’italiano è una continua scoperta, una ricchezza che ci divertiamo a usare… sconvolgendola, manipolandola e molto spesso facendola riscoprire agli altri italiani che l’hanno dimenticata o dialettizzata.
 
 
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