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autore |
Jonathan Trigell |
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Isbn edizioni |
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«Molto di quello che scrivo - dice Trigell - lo baso su esperienze personali. Anche quando si tratta di cose che non mi sono mai accadute. L’idea per scrivere Boy A mi è venuta una notte mentre parlavo con alcuni amici. L’idea di qualcuno che appare all’improvviso nel mondo da adulto, con innocenza per le cose fondamentali, e con la paura che un suo segreto del passato possa venire svelato». Per raccontare questo, anche se non direttamente, l’ispirazione Trigell l'ha presa da un caso di cronaca che sconvolse l'opinione pubblica inglese nel 1993. Il caso dell'omicidio e del processo Bulgar, ossia il rapimento e l'uccisione di James Bulgar, un bambino di tre anni di Kikby, piccola cittadina del Nord Ovest dell'Inghilterra. La particolarità di questo caso, fu che responsabili del crimine erano due ragazzini di soli dieci anni, che rapirono il bambino in un centro commerciale sotto gli occhi delle telecamere di sorveglianza (che ripresero l’intera sequenza) e di numerosi testimoni. Il corpo di James fu trovato due giorni dopo, sui binari di una linea ferroviaria, orrendamente mutilato. Per i due ragazzini, anche a causa della massiccia e violenta campagna di stampa organizzata dal quotidiano «The Sun», fu richiesto, nonostante la loro giovane età, il massimo della pena. Attualmente sono in libertà, con un programma simile alla protezione testimoni. «È vero che, nonostante i crimini differiscano significativamente, alcuni paralleli sono volontari. Io avevo appena 19 anni all’epoca, mi trovavo all’estero e ho saputo relativamente poco della vicenda. Ma la stampa ha continuato a seguire il caso per anni. C’è stato un po’ di scandalo, sui tabloid, quando gli assassini di James furono rilasciati, ma probabilmente meno di quanto mi aspettassi, nonostante fossero stati rilasciati senza avere scontato alcun periodo di detenzione come adulti, a differenza del mio personaggio». Perché Boy A è la storia di un ragazzo, Jack, 24 anni, che non si è mai ubriacato, non ha mai avuto una ragazza, non si è mai regalato un paio di scarpe. Jack è, in realtà, appena nato, ha passato tutta la sua vita in prigione e ne è uscito con una nuova identità, un lavoro ed un amico, Terry, il suo tutore, l’unico che sa chi è veramente. Jack, anche il nome è un nome nuovo, tenta di riprendersi una vita normale, cercando di passare oltre le cattive azioni che ha compiuto nel passato. Perché nel suo passato c’è un crimine spaventoso. Quello che chiede è solo una seconda possibilità. «Immagino che le nostre azioni del passato ci rendano ciò che siamo nel presente. Ma siamo anche di più della somma delle nostre azioni precedenti. Un sacco di bambini fanno cose orribili, e smettere di essere orribili è uno degli aspetti più importanti del diventare grandi. Di sicuro il minimo che possiamo dire è che un bambino che commetta un crimine è meno responsabile di quanto lo sarebbe un adulto: non ha ancora raggiunto la necessaria maturità per quanto riguarda la capacità di ragionamento, l’equilibrio morale, l’empatia. È difficile dire a quale età una persona abbia la piena responsabilità delle proprie azioni: ma di certo non i dieci anni di età che la legge britannica prevede. Noi abbiamo solo l’impressione del libero arbitrio: elaboriamo decisioni razionali nella nostra mente, ma quelle decisioni sono già state prese. Quindi, in un certo senso, il male è al tempo stesso casuale e inevitabile, che è un concetto molto difficile da accettare: anche solo perché la società crollerebbe se ci permettessimo di crederlo». Una storia di violenza: «Sono certo che la violenza c’è sempre stata. Non c’è bisogno di andare molto indietro nel tempo, o molto lontano dalle nostre iperprotette vite moderne, per trovare luoghi dove una violenza inspiegabile è del tutto potenziale. Anzi, in generale, più vai indietro nel tempo, più ciò era comune. Oggi abbiamo una visione romantica del West americano, per esempio, con uomini nobili che mantenevano la legge: ma se fossimo vissuti lì davvero, l’avremmo trovata una società brutale e selvaggia. La gente non portava le pistole come accessori di moda, ma perché viveva con la paura costante di essere uccisa. Ed oggi sotto la facciata rispettabile della nostra società civilizzata continuano a strisciare delle piccole creature malvagie.».
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10/12/2009 ore 17:00 Jardin de l'Ange |
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