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Edizione 2012
 
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  Trascina gli uomini il ferro  
 
autore
Marcus Sakey
Baldini Castoldi Dalai
«Il noir è un genere letterario che ti permette di esplorare temi morali, filosofici, politici dentro una lettura che avvince. Io voglio soprattutto che i lettori siano così immersi nella storia da perdere ogni contatto con quello che gli sta intorno. L’idea per questo libro è nata una sera, tornando a casa da mia moglie. A un certo punto m’è venuto in mente che ciò a cui tengo di più – la vita, il matrimonio, la casa – avrebbe potuto essere usato contro di me: più possediamo, più abbiamo da perdere. Questa idea mi ha affascinato e ho provato a immaginare un personaggio che avrebbe potuto approfittare di tutto questo».
Protagonista di Trascina gli uomini il ferro (un verso dell’Odissea di Omero) è Danny Carter, un passato criminale alle spalle riscattato da un presente di cittadino onesto e ravveduto. Un suo vecchio amico e complice, Evan, appena uscito di galera e in cerca del colpo grosso, lo contatta e lo ricatta per riportarlo sulla via del crimine. Entrambi sono nati nel South Side di Chicago, entrambi avevano una piccola reputazione criminale, ma Danny pensava di esser cambiato e si è costruito una nuova vita, un nuovo mondo, una carriera, una fidanzata e soprattutto una coscienza pulita. Evan è diverso: indurito dal carcere, non ha mai fatto il nome dell’amico e per questo pensa di meritare una grande ricompensa.
La domanda di fondo del libro è: quanto può un essere umano rinunciare agli aspetti oscuri di se stesso? «Nella maggior parte dei romanzi di genere i personaggi non riescono a superare i loro dilemmi finché non accettano la responsabilità per le loro azioni. È il punto chiave, per me: i romanzi parlano della paura, ma anche di come si può affrontarla. Il mio romanzo è veramente un racconto sulla responsabilità. Il protagonista ha costruito una nuova vita, ma non ha mai realmente pagato i suoi debiti, e fino a quando non assumerà queste responsabilità passate, non potrà diventare l’uomo che vorrebbe essere. Ma il mio romanzo è anche uno sguardo su Chicago, sulle inquietudini che sono inserite nel tessuto della città: Sud contro Nord, lavoratori contro colletti bianchi, scarse possibilità contro possibilità senza limiti. E in questo è anche un romanzo sul carcere e sui difetti del nostro sistema penitenziario. L’America imprigiona molta più gente di qualsiasi altra nazione. Ci sono oltre due milioni di detenuti. Molti Stati spendono più soldi per le prigioni che per le scuole, e il settanta per cento dei detenuti è analfabeta, mentre i malati di mente reclusi sono 200mila. Anche Amnesty International ha condannato il nostro sistema carcerario. E, peggio di tutto, le prigioni sono solamente punitive, non c’è nessuna politica riabilitativa. Quando si esce, la sola cosa che si è imparato è come sopravvivere in prigione. Immaginate di aver passato sette anni in un carcere di massima sicurezza. Imparando a vivere in un mondo costruito per nascondere gli uomini più pericolosi».
Una forte attenzione al substrato sociale dei suoi racconti, quindi, ma anche una forte attenzione verso la qualità della scrittura, allo stile, ai dialoghi dei personaggi. La sua scrittura è stata paragonata a quella di scrittori come Lee Child, George Pelecanos e T. Jefferson Parker, ma Sakey si ispira di più ad autori come David Mitchell, Michael Cunningham o David Foster Wallace: «Ma non mi importa di distinguere il mio stile da quello degli altri. Mi interessa scrivere con tanta forza quanto più è possibile. E penso che più si scrive con onestà, più ci si avvicina a se stessi. Passo molto tempo sui treni e studio i discorsi altrui. Non si ha idea di quanto divertente, sciocco, intelligente, saggio possa rivelarsi il tizio seduto accanto a te».
 
05/12/2008  ore 16:00
Jardin de l'Ange
 
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