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Daniel Odier - Delacorta |
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Einaudi |
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«Alto, una faccia da asiatico, occhi scuri come due tunnel, tesa massiccia e rotonda, capelli tagliati ad un centimetro, non aveva l’aria né buona né cattiva. Prestante, era tutto quello che si poteva dire di lui». È Serge Gorodish all’arrivo nella deprimente stazione di una cittadina francese: «una strada principale, un parco, sessantasette negozi, ventiquattro fabbriche e aziende di piccolo e medio calibro, diciannove caffè, una libreria, cinque alberghi, undici ristoranti, tre banche… Tutto questo per 12300 abitanti». E tra questi 12300 abitanti anche Alba, tredici anni: una bellezza angelica, cleptomane, taccheggiatrice, che sogna di rubare la Tour Eiffel, e dallo sguardo «che avrebbe fatto saltare l’impianto di condizionamento di un cinema, con la lontana promessa di un nirvana». In questo luogo ricco e tranquillo, arriva Gorodish, fotografo scandaloso e incompreso, già enfant prodige del pianoforte, pittore, caricaturista, nessun voglia di essere diretto da nessuno. Sembra voglia soltanto prendersi una breve vacanza, in realtà ha un progetto preciso ed una precisa strategia. I due si piacciono. Moltissimo. All’inizio sono solo sguardi. Le parole arriveranno molto dopo. La differenza di età non è un problema, anche se il sesso tra di loro (in questa come nelle altre avventure della coppia) non è contemplato. Il loro rapporto è istintivo. «Il corpo ha un posto magnifico – dice Delacorta parlando a proposito delle sue esperienze mistiche – Non è mai del tutto negato. Mai. Al contrario, noi pensiamo che sia uno strumento meraviglioso. Ed è uno strumento meraviglioso per la semplice ragione che ha la capacità di diventare un tutto assieme a quello che incontra, con una grazia ed una spontaneità incredibile. Al contrario del nostro lato mentale, che ha la tendenza a dividere, a giudicare, a stabilire delle differenze. Il nostro lato mentale detiene il 90 per cento della superficie, mentre il corpo appena un 10 per cento. Non si tratta di eliminare il lato mentale, ma si tratta di rendere il rapporto più equilibrato in modo che il corpo possa veramente prendere il proprio posto. È come se avessimo un magnifico appartamento del quale vivessimo solo la cucina, mentre il resto è vuoto. È questo che facciamo: non osiamo abitare il nostro corpo perché possiede una forza ancestrale, di violenza, di movimenti interni folgoranti e relativamente incontrollabili. E per evitare di essere sottomessi a queste pulsioni, molte persone decidono di negare il corpo, e di cercare di essere puro spirito. Ma questo, alla lunga, non funziona bene. Si può pensare di essere completamente staccati dal proprio corpo, ma un giorno arriverà un onda troppo forte che ci prenderà. Per noi che seguiamo il Tantra, reinvestire il corpo, la sensibilità del corpo, è una cosa fondamentale». Gorodish è mente e corpo, ma è grazie alla mente che riesce a diventare amico di Luc Passin: redattore capo de L’Indépendant, il settimanale della regione – oltre centrotrentamila copie vendute ogni settimana – è la prima pedina del suo gioco di scacchi, colui che gli permetterà di essere benvoluto nella cittadina. «Serge Gorodish è innanzitutto un amante della bellezza – scrive di lui Passin – Ma egli non limita il suo amore per l’arte della contemplazione, egli crea, dipinge, disegna, suona il pianoforte…la nostra città è fiera di accogliere un tale uomo». Un partita a scacchi che coinvolge chiunque, anche i cappelloni che si fanno chiamare I Vampiri, che sfrecciano a bordo delle loro potenti moto, che hanno crudeli prove alle quali i nuovi adepti devono sottostare, che fingono di vivere una vita senza regole. Un gruppo di balordi, che pensano di usare chi li sta usando. Gorodish distrugge le consuetudini del paese, fomenta l’odio tra le persone, e l’odio verso di lui. I suoi piani sono lineari e semplici ma ammettono l’imprevisto e lo trasformano a proprio favore, sia esso un nuovo amore o un omicidio da lasciare impunito. Come dice Tommaso De Lorenzis nella postfazione a Nanà, «Le avventure di Serge e Alba ci ricordano che malgrado tutto, può finire bene. Ci dicono che possiamo vincere per una volta. Per una volta almeno, possiamo irretire - al suono di un vecchio pianoforte - le angoscianti sirene del male di vivere».
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09/12/2008 ore 11:30 Jardin de l'Ange |
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