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Un sabato italiano
Conversando con Marco Polillo, Massimo Lugli e Niccolò Vivarelli |
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15/12/2012 |
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Giornata in buona parte dedicata al giallo italiano, quella che ha concluso le Conversazioni con gli scrittori al Jardin de l’Ange. Sul palco, per primo, per presentare il suo nuovo giallo, Villa Tre Pini, Marco Polillo, figura centrale della editoria italiana (ha lavorato per Rizzoli, Mondadori e ha una casa editrice che porta il suo nome), qui in veste di autore, per raccontarci la quarta avventura del vice commissario Enea Zottia, una cinquantina di anni, baffuto, sardo e trasudante umanità. «Enea - dice Polillo - è cupo e timido, e cerca di svolgere il suo mestiere nel migliore dei modi possibili. Vive un rapporto fallimentare con la moglie, dalla quale, essendo rigorosamente etico, non riesce a staccarsi. E vive una nuova storia d'amore con Serena, amica fin dai tempi dell’Università, personaggio, fondamentalmente idealizzato». I gialli di Polillo sono gialli dall’impianto sostanzialmente classico, anche se, leggendo tra le sue pagine, ci si rende conto che alla fine nessun ordine viene ristabilito e giustizia non viene fatta. «La struttura delle mie storie è essenzialmente ad enigma, per questo inserisco nei miei romanzi molti personaggi, per confondere le acque, disseminare il percorso di indizi che alla fine non si riveleranno risolutivi. Ma la coralità dei miei racconti dipende anche dalla constatazione che quando un omicidio avviene, le persone coinvolte, i vicini, i passanti, gli amici o i conoscenti, sono veramente tantissime». Dalla realtà trae invece ispirazione il Marco Corvino, cronista di nera, alter ego dello scrittore (e a sua volta cronista) Massimo Lugli, che seguendo le tracce di un caso di qualche anno fa (la morte di una ragazza in un garage a Roma, vittima di pratiche sadomaso), mette in scena il suo Gioco perverso. «Mi ispiro sempre alla cronaca, e la mia storia, per quanto perversa, non ha niente a che vedere con il Mummy Porn o le cinquanta sfumature. Per scriverlo mi sono informato tantissimo, come ho sempre fatto in quanto cronista. Ho parlato con Master, i dominatori, mi sono iscritto a centri culturali dai nomi fantasiosi, tipo La frusta e le rose, ho frequentato quegli ambienti, i seminari di weep dance, e mi sono reso conto di trovarmi di fronte a persone normalissime, che le cose che dicono le fanno per davvero, ma con tranquillità e naturalezza. A questa storia ne ho aggiunta un’altra, parallela, perché amo le storie parallele, che vede protagonista una nuova droga proveniente dalle Filippine, una droga potentissima che lascia segni sul corpo devastanti, lo Shabot, e che sempre di più si sta insinuando nelle nostre città». Giallo psicologico, infine, quello scritto da Niccolò Vivarelli, autore di Slalom, romanzo che uscirà a febbraio. Il racconto si svolge tra un centro di disintossicazione per la droga, e Firenze, città nella quale Vivarelli è nato, e nella quale non risiede più da anni, essendosi ormai trasferito negli Stati Uniti, dove collabora per diverse testate, tra le quali «Variety». «La storia è ambientata a Firenze perché è la città che conosco meglio. Ed ho voluto scrivere una storia ispirandomi ad Altman, ad America Oggi, cercando di riprodurne il ritmo. Il libro parla di un trentenne che per metà della sua vita si è drogato ed è deciso a smettere, approfittando della comunità, dove però non sa se tornare, in quanto si sospetta che là dentro avvengano omicidi. Ed è questo lo slalom interiore che si trova a vivere il personaggio. Procedere in avanti evitando tutti gli ostacoli, sia fisici che morali. Scegliendo la direzione giusta. Non è un libro sulla droga, ma un libro sulla condizione del post drogato. Ma in fondo è un libro che riguarda la condizione di tutti».
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