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  Noi[r] & le [anti]mafie  
 
 14/12/2012 
Nel secondo incontro del tema dell'anno, la discussione moderata da Gaetano Savatteri si è spostata dai 'cattivi' ai 'buoni'. Schematicamente dal 'come è stata raccontata la mafia' si è passati alla narrazione di chi l'ha contrastata. E come nella prima parte del convegno Noi[r] & le Mafie, i relatori hanno sottolineato il rischio di un'omologazione e di una creazione di stereotipi che non mettono in luce la realtà della criminalità organizzata, anche per l'antimafia, sono stati messi in luce i dubbi riguardo una narrazione che tende all'agiografia, alla santificazione di eroi che sembrano destinati a un'eterna sconfitta.

Protagonisti nella vita reale e in quella delle fiction, Falcone, Borsellino e, prima ancora, Impastato, solo per fare alcuni dei nomi più celebri, sono diventati dei simboli che spesso trasmettono nella loro rappresentazione valori svuotati di significato per assurgere al ruolo di bandiere da esibire nelle occasioni importanti, come ad esempio nelle ricorrenze a cifra tonda della loro scomparsa.

Il primo a raccogliere le sollecitazioni di Savatteri è stato lo storico Salvatore Lupo: «Le numerose e importanti vittorie contro la mafia non sono state ben elaborate, quasi vi sia stato un rifiuto a prenderne atto. L'enfasi che si usa rispetto alla potenza della mafia - ha proseguito Lupo - è superiore ai risultati, e ve ne sono stati molti, conseguiti da coloro che nell'azione di contrasto si prefiggono di portare la moralità in una società congenitamente malata».

Sottovalutare l'opera dell'antimafia e, al tempo stesso, trasformare magistrati e uomini delle forze dell'ordine in bandiere che tutti possono sventolare, porta a un'omologazione che associa chi si contrappone alla criminalità in modo autentico, a chi usa quella posizione di facciata per nascondere complicità e connivenze. Marcello Fois con una frase secca ha riassunto il concetto: «Il cattivo si racconta meglio, il buono no. Anche perché la felicità e il trionfo del bene possono essere gli esiti di un racconto, non il nucleo del racconto stesso». Lo scrittore, però, ha ricordato che bisognerebbe essere prima ancora che bravi narratori, degli ottimi lettori: «Se noi leggessimo i romanzi fondanti della nostra cultura, come I promessi sposi, saremmo attrezzati per contrastare la mafia. I classici sono libri che contengono già tutto».

Naturlamente non si tratta solo di quello che i narratori hanno raccontato, ma anche di quello che scrittori, giornalisti e registi non possono realizzare per impedimenti esterni. Maurizio Torrealta ha toccato uno dei punti dolenti che, in un certo senso, è stato trattato in molti appuntamenti del festival, non solo nel corso della prima parte del convegno, ma per esempio anche durante l'incontro sul cinema noir italiano. Lo stato di crisi e la censura più o meno presente nei media nazionali, impediscono di fatto la possibilità di ampliare l'orizzonte verso storie che finiscono per essere totalmente oscurate. Torrealta ha raccontato alcuni episodi che non riescono proprio a risalire in superficie: «Solo se racconteremo le storie di quelle persone che sono state dimenticate, buone o cattive che fossero, forse riusciremo a saperne di più. L'antimafia riguarda tutti coloro che alla mafia, appunto, si sono opposti, compresi quelli che in un primo tempo ne facevano parte ma che con la loro testimonianza potrebbero svelare molti dei misteri rimasti insoluti».

Negli interventi successivi, da quelli del Vice presidente per l'Education di Confindustria Ivanhoe Lo Bello a quelli dei giornalisti Lirio Abbate e Giacomo Di Girolamo, si è ribadita l'esigenza di tornare a un racconto più autentico, aderente alla realtà, che superi la spettacolarizzazione e l'appiatimento su stereotipi che portano fuori strada.

In tal senso, il riferimento fatto dal Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso a un particolare riguardo l'arresto di Provenzano, suona come una denuncia e un monito a un maggiore senso di responsabilità: «L'inquadratura fatta dai telegiornali nazionali della dimora di Provenzano al momento dell'arresto, è un falso storico. Lui viveva nella villa accanto e tutti hanno ripreso la stalla facendo passare il capo mafia per un uomo modesto e fuori dal tempo».
Finita questa due giorni di incontri, la parola torna ai narratori.