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  Tra realtà e finzione
di scena gli indipendenti italiani
E Belvaux racconta una storia sull'indifferenza
 
 
 13/12/2012 
«Siamo orgogliosamente iper-indipendenti». Così Luca Argentero ha presentato stamattina al Jardin de l’Ange il team di persone con cui ha lavorato al suo primo film da produttore, Cose cattive, diretto da Simone Gandolfo. Girato in quattro settimane con un low-budget e senza l’ausilio di finanziamenti pubblici, il film è stato presentato ieri a mezzanotte nella sezione Fuori Concorso del Festival. Il segreto della realizzazione di Cose cattive, spiegano Argentero e gli attori presenti all’incontro (Marta Gastini, Jennifer Mischiati, Pietro Ragusa e Nicola Sorrenti), è stata la compartecipazione, ovvero un sistema in cui più persone contribuiscono finanziariamente alla produzione e alla divisione degli utili. Un coinvolgimento che si è tradotto non in un mero stratagemma economico ma in un affiatamento dell’intera troupe.

Attore indipendente, Argentero ha spiegato che anche la distribuzione di Cose cattive, rivolta in particolare all’estero, sarà autonoma, affidata in Italia sia a una rete di esercenti che da febbraio proietteranno il film, sia, probabilmente, a Internet. Premiato da FilmHouse con una targa speciale per il suo “Impegno distributivo sul Web”, il giovane produttore ha parlato dei rischi insiti nella Rete, la cui estremizzazione è il tema centrale di Cose cattive, ma anche delle enormi potenzialità offerte dal Web: «Oggi stiamo sperimentando la possibilità di applicare il nostro lavoro ai social network. Ho accettato la storia portatami da Simone Gandolfo perché era produttivamente realizzabile e perché si prestava alle campagne di web marketing, che abbiamo concretizzato per sei mesi in un blog in cui i lettori potevano interagire con gli attori».

Di una indipendenza diversa parla invece Lucas Belvaux, regista di 38 témoins, in riferimento al suo modo di dirigere gli attori: «Sono un regista non particolarmente autoritario, ma amo la precisione, perciò do agli attori indicazioni specifiche. Li vincolo molto e al contempo li lascio liberi all’interno di questi vincoli. A volte funziona, a volte no, dipende da persona a persona». A proposito del protagonista Yvan Attal, racconta: «Avevamo già lavorato insieme. Mi ero reso conto di quante cose fosse capace di comunicare senza far nulla, senza recitare. Volevo sapere fino a che punto potevo spingere i suoi silenzi». Sul senso del suo film, invece, afferma: «Non ho cercato di fornire delle spiegazioni al perché i 38 testimoni del delitto non intervengono, ho preferito parlare della società. Volevo che gli spettatori non si immedesimassero emotivamente nel film, non si ponessero la domanda “cosa avrei fatto io al loro posto?” quanto, piuttosto, “cosa bisogna fare in una situazione del genere?”».

Attori/autori indipendenti sono anche i ragazzi di Atomic Rocket Comics, che oggi hanno presentato il proprio anticonvenzionale progetto editoriale, una rivisitazione del fumetto nero anni Sessanta; attraverso una comunicazione a base di giornalini, fumetti, fotoromanzi e gadgets, Roberto Papi e Francesco Brunotti stanno riportando in vita una serie di fantasiosi personaggi che recuperano il divertimento scanzonato degli eroi di quegli anni, arricchiti da un sapore vintage molto noir.

Indipendenti sono anche i due documentari di Pierfrancesco Li Donni e Stefano Grossi, Il secondo tempo e Nel paese di Giralaruota (Il grande inganno di Calciopoli), non tanto per il modo in cui sono stati prodotti, quanto perché entrambi si sono fatti portavoce di una visione inconsueta della realtà, portando a sostegno di una tesi le proprie prove.

«Nel 1992 avevo sette anni - racconta Li Donni - Nel mio primo lavoro mi interessava cominciare a raccontare la mia città, Palermo, partendo proprio dall’episodio di Falcone e Borsellino, che ha segnato la mia vita civile. Ho cercato di raccontare Palermo con occhi diversi, senza ricostruirne la storia politica e giudiziaria ma soffermandomi sulla cosa più importante che queste due stragi ci hanno lasciato: la voglia di ricominciare e ricostruire una città. Ho deciso di fare un documentario sulla gente, su come viveva a distanza di vent’anni da quel drammatico momento».

«Il mio punto di partenza - afferma invece Grossi - sono stati i libri di Renato La Monica, La Juve nel paese di giralaruota e Calciopoli. Il grande inganno. Mi interessava raccontare il rapporto tra il paese e lo scandalo, ovvero mostrare come calciopoli sia solo parte di un sistema più grande, in cui l’uso dei media riveste una posizione centrale». Una prospettiva riassunta in una sola frase dal giornalista Roberto Beccantini, che ha partecipato all’incontro con Alvaro Moretti: «All’estero l’arbitro fa parte del gioco, in Italia fa parte dei giochi. Sostituite alla parola arbitro una qualsiasi figura come giudice, magnate televisivo, presidente del consiglio o qualsiasi altra, e ritroverete la logica di tutti i più recenti scandali».