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  Il racconto delle Mafie
tra mito e realtà
 
 
 13/12/2012 
Si è tenuto al Centro Congressi di Courmayeur la prima parte del convegno Noi[r] e le Mafie.  Il tema dell’anno scelto dal festival ha avuto un’introduzione particolare, un estratto dal programma televisivo Babele, andato in onda su Raitre il 12 gennaio 1992 e condotto da Corrado Augias, con un ospite d’eccezione: Giovanni Falcone. Una testimonianza preziosa non solo perché il video risale a poco prima dell’attentato nel quale il magistrato insieme alla moglie e alla scorta persero la vita, ma anche per il contenuto di quell’intervista, che potete trovare trascritta nel catalogo del Festival. In quella sede, tra le altre considerazioni dette in modo molto amaro, Falcone faceva riferimento  alla manipolazione che la Mafia opera nei confronti di valori universalmente riconosciuti, operazione che in un tragico gioco degli specchi dà alla Mafia stessa un carattere “affascinante”.

Proprio a partire da questa fascinazione e capacità di manipolare parole come “onore”, “protezione”, “solidarietà”, ha preso avvio l’incontro moderato da Gaetano Savatteri. Il giornalista e scrittore siciliano ha sollecitato gli ospiti (qui le loro biografie) con una serie di domande secche: «Perché la Mafia affascina? E perché nel suo essere raccontata c’è sempre un contrasto di sentimenti tra la passione del racconto e l’imbarazzo di cosa dire?».

Lo storico Salvatore Lupo ha subito tolto dal campo il luogo comune che vuole la Mafia dentro la cultura mediterranea e, dunque, capace per questo di esercitare un fascino che colpisce la fantasia dei narratori e, più in generale, delle persone che vivono a contatto con questa realtà. Si tratta di una semplificazione che non tiene conto del potere mafioso di falsificare e strumentalizzare dei codici nobili come quello dell’onore, con lo scopo di intimidire e soggiogare la società civile. Una manipolazione che agisce persino sugli stessi mafiosi, convinti dell’autenticità dei loro codici. E una falsificazione che si spinge fino alla creazione di un’immagine fittizia che tende a costruire l’idea di onnipotenza, quando si arriva a pensare, ad esempio, che la seconda guerra mondiale in Italia è stata vinta con il ruolo decisivo della Mafia.

Lo scarto tra la realtà e il racconto che di essa si fa, è stato al centro della discussione passando dalle parole di Lupo, che ha indicato anche alcuni esempi di narrazione letteraria e cinematografica che hanno travisato il senso dell’azione mafiosa, a quelle del Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso. La Mafia sin dall’Ottocento si è espressa attraverso un simbolismo macabro teso a intimidire, a costringere all’omertà e a tenere sotto controllo le azioni di coloro che si potevano opporre alla criminalità organizzata. Ma per Grasso questa simbologia oggi è diventata desueta, non viene più applicata perché la Mafia si è adeguata o impossessata, a seconda di come la si voglia vedere, dei moderni strumenti di comunicazione, dalla televisione al cinema, fino alla Rete. Bisogna fare molta attenzione, allora, alle rappresentazioni che spettacolarizzano le azioni criminali e che mitizzano la Mafia, secondo stereotipi che entrano a far parte prepotentemente dell’immaginario collettivo abbasando le difese immunitarie di una società.

A Grasso e Lupo hanno replicato gli scrittori, coloro che sono certamente chiamati a confrontarsi con la realtà, ma che nel processo creativo devono anche prenderne le distanze. Per il neo Premio Chandler, Don Winslow, è fuori di dubbio che Il padrino possa essere letto in chiave romantica e che si possa pensare al film di Coppola come a una specie di remake dell’Enrico IV di Shakespeare. Ma non bisogna omettere quanto una serie televisiva come I Soprano abbia mostrato un volto diverso della Mafia. Ad ogni modo per lo scrittore statunitense non si può chiedere a un artista, in nome di un principio morale, di non considerare il punto di vista dei suoi personaggi, che siano persone comuni, detective o, appunto, uomini della mafia. È nella natura del romanziere assumere le varie identità descritte in un romanzo, ed è nella ricomposizione della realtà che l’arte rivela una verità profonda.

Andrea Purgatori ha rivendicato l’urgenza da parte degli autori letterari e cinematografici di raccontare storie, certamente legate alla realtà circostante, ma pur sempre distinte dalla necessità dei magistrati di produrre elementi per i tribunali e dei giornalisti di riportare gli esiti delle inchieste. Ognuno deve cimentarsi con le proprie competenze. Mentre per Patrick Fogli, gli scrittori devono prendere atto che la Mafia raccontata nella celebre serie televisiva, La piovra, non esiste più. Perciò è doveroso cimentarsi con le nuove strutture della criminalità organizzata.

Altri inteventi di giornalisti e scrittori, tra i numerosi partecipanti che hanno preso posto in sala, hanno animato questa prima parte del convegno. L’appuntamento è per domani, e forse qualcuno partirà dalla domanda di Élmer Mendoza: «Oggi se si chiede quale sia lo scrittore italiano più importante, la maggioranza risponde Roberto Saviano. Mi chiedo che fine abbiano fatto Italo Calvino, Alberto Moravia e Leonardo Sciascia. Artisti che con la loro immaginazione ci hanno raccontato e fatto scoprire il mondo nel quale viviamo».