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  Innocenza siberiana
Gabriele Salvatores e Toni d’Angelo
raccontano l'infanzia perpetua
 
 
 12/12/2012 
Ci sono registi che ripropongono pedissequamente nei propri film moduli già sperimentati in passato, per comodità, per paura di rischiare, per andare incontro alle aspettative del pubblico. Hithcock, come dimostra il film di Sacha Gervasi, non era tra questi. Gabriele Salvatores e Toni d’Angelo, neanche. Nell’incontro tenutosi oggi al Jardin de l’Ange i due autori hanno raccontato la propria incessante ricerca di progetti che li facciano sentire sempre al punto di partenza, sempre all’inizio del proprio viaggio professionale.

Nonostante l'Educazione siberiana (prodotto da Cattleya e Rai Cinema, distribuito da 01), di prossima uscita, sia il suo quindicesimo film, Gabriele Salvatores ha affermato: «È il primo film che giro in inglese, con più camere contemporaneamente, un piano di lavorazione subordinato alle tempistiche di una star come John Malkovich e in cui non c’è nessun attore italiano. È un po’ come se fosse il mio primo film, sicuramente il primo che si avvicina al sogno di cinema che avevo da ragazzo».

Le difficoltà produttive di un progetto molto complesso e articolato, in cui Salvatores ha dovuto, similmente a quanto già fatto in Nirvana, ricreare un intero mondo nei primi particolari, affrontando condizioni atmosferiche proibitive, non l’hanno per nulla scoraggiato: «Educazione siberiana è il film più importante che abbia mai fatto, dal punto di vista produttivo e artistico. Se realizzo cose che non so fare, mettendomi in gioco, mi diverto molto di più. Ovviamente, in tutti i miei film cerco sempre di inserire temi a me cari, come l’amicizia, la crescita, la presenza di un maestro, e nel libro di Lilin ho trovato molte cose che mi appartenevano».

Parlando invece di cosa Nicolai Lilin, autore dell’omonimo libro da cui è tratto il film, ha trovato in Gabriele Salvatores, lo scrittore ha raccontato: «Quando sono tornato dal servizio militare avevo bisogno di capire cos’era la guerra, perché facendola, non è possibile capirla. Un giorno un amico mi ha mostrato Mediterraneo, e nel film vi ho trovato moltissima verità umana; per questo ho scelto Gabriele, avevo bisogno che il progetto mi fosse proposto da qualcuno in grado di capire la profondità del messaggio del mio libro. A tal proposito, c’è una canzone di De Gregori, La storia siamo noi, il cui testo racchiude esattamente il senso di questo film».

Così come Gabriele Salvatores sembra vivere in un perenne stato d’infanzia cinematografica, che rigenera continuamente il suo stile, anche Toni d’Angelo racconta del suo desiderio di cimentarsi in progetti sempre diversi: «Da tempo volevo realizzare un film noir. Mi piace la sfida, mettermi in gioco; amo i registi che compiono un proprio percorso di crescita. Il prossimo film che mi sono imposto di realizzare sarà un melò!».

Parlando invece de L'innocenza di Clara, tutti e tre gli attori protagonisti sono stati concordi nel riconoscere al film una particolare atmosfera noir che evoca la presenza di un male latente: «Clara è una persona che non ama - afferma Chiara Conti - ma che vuole essere amata ad ogni costo, trasformandosi di volta in volta nella maschera di cui ha bisogno per raggiungere il proprio fine. La sua “innocenza” risiede nel non essere consapevole delle conseguenze che le sue azioni possono provocare».

Alberto Gimignani e Luca Lionello, facendo riferimento ai due personaggi maschili da loro interpretati, parlano di recondite pulsioni primordiali che emergono non appena entra in gioco il più irrilevante elemento catalizzatore, mostrando quanto il male possa essere, riprendendo una definizione di Hannah Arendt, banale.

Il freddo della Siberia del film di Salvatores e il gelo sentimentale della Clara di Toni D’Angelo avvolgono due opere caratterizzate da uno sguardo “innocente”, costantemente azzerato dal desiderio di ripartire con qualcosa di mai sperimentato, come in un’infanzia perpetua.