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Vedo nero La scommessa di ricominciare |
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12/12/2012 |
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Lo scorso dicembre un gruppo di visionari si è riunito al festival di Courmayeur grazie al sostegno e alla collaborazione con Istituto Luce Cinecittà. Quasi spontaneamente si sono chiamati Il consiglio dei Dieci con un pizzico di presuntuosa memoria degli uomini potenti della Repubblica di Venezia, quando dieci saggi vegliavano sul bene comune. Tra loro c’erano registi, sceneggiatori, produttori, giornalisti, storici, critici. L’obiettivo, a prima vista piuttosto utopistico, era di ridare smalto, voglia, motivazioni e storie al “giallo” nell’Italia del cinema.
Quest'anno, sempre con il fondamentale sostegno dell'Istituto Luce Cinecittà, l'appuntamento si è ripetuto per porsi delle domande e riflettere sullo stato di salute del cinema noir, sulle sfumature che dilatano il genere e, proprio per questo, possono generare le fortune e le sfortune di prodotti che faticosamente approdano nelle sale italiane.
All'incontro hanno partecipato: i giornalisti Giuseppe Di Piazza, Sergio Rizzo, Gaetano Savatteri; gli sceneggiatori Heidrun Schleef e Andrea Purgatori; i registi Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, Enzo Monteleone, Massimo Spano; il produttore e distributore Luciano Sovena e il critico Fabio Ferzetti.
Il progetto Vedo Nero è per sua natura trasversale, non può fare a meno di considerare, accanto a quello cinematografico, sia l'ambito letterario, che da una decade attraversa un periodo aureo, sia quello televisivo, con tutte le contraddizioni che si porta dietro quel sistema.
Come creare un dialogo tra linguaggi che talvolta sembrano destinati a non instaurare una comunicazione feconda? Come può il cinema italiano noir fare il salto di qualità che ha compiuto la letteratura? E come quel cinema può evitare la contrapposizione infruttuosa con la televisione, attigendo al contrario a quegli elementi che, per esempio, negli Stati Uniti stanno generando esempi virtuosi e stimolanti per il piccolo e grande schermo?
Nel workshop di questa mattina gli ospiti hanno preso la parola formulando domande e abbozzando risposte, e non poteva essere altrimenti visto il contesto della discussione, una sorta di work in progress che richiede un costante aggiornamento e un implicito darsi appuntamento per nuovi e futuri confronti. Le questioni messe sul tavolo erano numerose. Tanto per cominciare il contrasto tra l'esiguo numero di film che riscuotono successo di pubblico e critica e che, soprattutto, vengono proiettati nel circuito commerciale, e la cifra consistente di produzioni che sfiora la settantina di lavori, ed è un calcolo approssimativo e soggettivo, che però subisce una scrematura al punto da rendere del tutto invisibili i vari approcci al genere noir.
Problemi produttivi e distributivi cronici, ma non solo. Fabio Ferzetti, dopo aver provocatoriamente indicato in Noi credevamo di Mario Martone il noir più significativo degli ultimi anni, ha sottolineato un altro aspetto importante, ossia la difficoltà di individuare una vera e propria produzione di genere. Si seguono i filoni e si raccontano storie che afferiscono al sociale piuttosto che al personale. I film sono noir o gialli, e qui bisognerebbe forse soffermarsi sulla differenza dei colori, ma in modo mascherato: il genere rimane sullo sfondo, nascosto dietro altre forme di racconto. In questo modo non si dà un seguito a film che potrebbero generare dei codici, e il cinema di genere resta bloccato in un eterno ricominciare da zero, come se le esperienze maturate non avessero la forza di trasformarsi in sistema.
Lo sceneggiatore e regista Enzo Monteleone ha proseguito sulla linea dell'intervendo di Ferzetti, rimarcando l'affidarsi da parte delle produzioni a filoni che dettano le regole solo se hanno un successo, altrimenti si passa ad altro o si ripiega nell'ambito televisivo. E ulteriore elemento, che ha poi dato spunto all'intervento di due giovani registi, Daniele Coluccini e Matteo Botrugno, la difficoltà delle nuove generazioni di imporsi nel mercato forse traviati dal capostipite del prodotto low budget, The Blair Witch Project, che ha dato l'illusione di poter creare fenomeni di massa ed economie virtuose a costo zero.
Proprio la coppia che tre anni fa ha esordito con Et in terra pax, oggi si trova in una situazione di stallo, impossibilitata a dirigere la fatidica opera seconda, «nonostante un'attrice di richiamo, una sceneggiatura solida che ha avuto buone valutazioni e a un passo dall'entrare nell'Atelier di Cannes».
Un problema di imbuto produttivo e distributivo, ha commentato Luciano Sovena: «si producono film di esordienti che non usciranno mai in sala. E allora è meglio concentrare più soldi in meno film, non cinquantamila euro per tanti film che poi non arrivano al cinema». Da parte loro, Botrugno e Coluccini hanno confessato la percezione che se un regista si affida al cinema di genere immediatamente viene espulso dal circolo degli autori per precipitare nei piani inferiori del b-movie.
Giuseppe Di Piazza, d'accordo con Sergio Rizzo, ha annotato che «l'Italia è uno straordinario produttore di trame noir, con i suoi tanti delitti irrisolti in cui si mescolano sesso e morte, mafia e morte, complotti e servizi. Ma il problema del nostro cinema attuale è che le trame vengono poi gestite in modo troppo autoriale e tenendo in poco conto le regole auree del genere».
Un'altra strettoia che impedisce al nostro cinema di fiorire nel genere, come ha spiegato Gosetti, può essere individuato anche nella tendenza alla censura o autocensura di chi lo scrive. Lo testimonia la sceneggiatrice Heidrun Schleef, che ha raccontato il naufragio forzato del progetto su Carlo Giuliani e di quello sui suicidi minorili. E su questo punto è esemplare la domanda retorica posta da Massimo Spano: oggi si potrebbero realizzare film come Todo modo o Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto? |
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