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Che bella morte… Quando la fantasia si chiama Tim Burton Frankenweenie arriva a Courmayeur di Luca Di Leonardo |
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15/12/2012 |
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Al funerale di Edward Bloom, suo figlio Will è costretto a ricredersi. Aveva sempre pensato che suo padre fosse un folle, un millantatore capace solo di inventare personaggi grotteschi e racconti inverosimili. Il povero Will, trovandosi per davvero immerso in un circo di personaggi bizzarri, non può che accettare (finalmente) l’eredità di suo padre, fatta di storie magiche ambientate in un mondo fantasmagorico eppure reale.
Al cinema accade spesso la stessa cosa. Si legge la trama di un film, se ne sente parlare e non ci si crede nemmeno un po’. Poi, come per Edward e Will in Big Fish, arriva l’ultimo film di Tim Burton. La storia è accattivante e talmente assurda che è grande la curiosità di sapere che ha combinato questa volta con un simile intreccio. Si arriva in sala, si spengono le luci e si accende la visione di un al-di-là che dopo qualche secondo è l’unico mondo possibile.
Fantasmi, scheletri ed emarginati che sono sempre più simili a cadaveri. Eccolo il regno di Burton, l’uomo dai capelli arruffati che disegna, descrive e colora i mondi “altri” come se lui stesso ne facesse parte.
Creatore di sogni e incubi, animatore di mostri-buoni (degni solo del fantastico mondo di Steven Spielberg), in quasi trent’anni di carriera, il nome Tim Burton è diventato sinonimo di fantasia grazie alla sua maestria nel dare cuore e movimento alle cose inanimate, sia nella diegesi dei suoi film sia negli strumenti che sceglie per realizzarli (vedi i pupazzi della “sua” stop-motion). Un Geppetto capace di dare ai suoi Pinocchio nomi molto diversi tra loro ma con un’impronta comune. Sono assassini, sono inventori, sono nerd o ragazzine ribelli. Sono tutti un po’ come lui, Tim che potremmo chiamare Edward (come Mani di Forbici, come il Bloom di Big Fish, come in Ed Wood) per dare a lui e alle sue creature quella certa aura straordinaria nella loro ordinarietà. Sono “strani”, indifesi, incompresi e sempre alla ricerca di qualcosa. Sono spiriti liberi, ribelli, spesso morti (per davvero o simbolicamente) ma di una morte che non esclude le possibilità.
Cresciuto a pane e disegni (esposti in anni recenti al MOMA di New York), il regista californiano è colui che ha accompagnato per mano il grande pubblico nelle sale per appassionarsi al gusto gotico e a storie orrorifiche in ambientazioni da sogno che sottolineano la bellezza e celebrano quel certo culto della morte che, con lui, è capace di divertire oltre che spaventare. Vi sono esempi in La Sposa Cadavere dove la morte “fa bella” la protagonista, nel suo Joker-Nicholson (in Batman) che fa della bellezza e del suo sorriso stampato una questione di principio o la bellezza (e purezza) di Alice che fa tanta invidia alla regina rossa nel paese delle meraviglie.
I marchingegni sono altro segno distintivo del regista-bambino che gioca con le costruzioni e fanno da cornice a molti film, ad esempio gli ingranaggi fiabeschi de La Fabbrica di Cioccolato o le macchine-del-male del barbiere Sweeney Todd o gli attrezzi dello scienziato che diede vita a Edward Mani di Forbici. Meccanismi che originano personaggi, idee e storie, quelle di ogni singolo film. Spesso ispirati agli Horror di sempre con eco dal cinema espressionista o nati da rielaborazioni di opere letterarie o, ancora, remake di classici del passato, sovente con la faccia del feticcio Johnny Depp e coi suoni del fedele Danny Elfman, i film di Tim Burton riescono a spiegare la morte ai bambini come nessun’altro saprebbe.
Come per ogni grande autore, il suo cinema appartiene a un genere che ormai porta il suo nome e come per le star del grande schermo le sue storie sono conosciute in tutto il mondo da un pubblico senza età.
Dopo gli inquilini morti di Beetlejuice, apocalittici attacchi alieni (Mars Attacks!), le misteriose indagini di Sleepy Hollow e il meraviglioso oltremondo di una Alice mai così dark, arriva a Courmayeur l’ultimo gioiello del re del fantasy-horror: Frankenweenie.
Nato dalla rielaborazione di un cortometraggio dei primi anni Ottanta, dello stesso Burton, e sviluppatosi nelle scuderie di casa Disney, è ancora la storia di una morte perfetta per bambini (del MiniNoir e oltre). Di nuovo a rimettere insieme i pezzi, di nuovo a far girare antichi marchingegni del raccontare sulle orme del classico Frankenstein, un altro mondo al-di-là nella nuova horror-comedy in 3D girata in bianco e “Noir” e parlata con le voci celebri di Hollywood che appaiono più volte nel curriculum del regista (Winona Ryder, Catherine O’Hara, Martin Landau).
Non mancano le musiche di Elfman, i pupazzi animati in stop-motion con gli occhioni spaventosi alla Dr. Caligari, la tenerezza di un bambino che per amore del suo cane inventa una diavoleria per farlo tornare in vita e la firma di Disney che fa da garante.
Edward-Tim, nascosto tra le “ombre scure” del Monte Bianco a tagliuzzare la neve con le sue Mani di Forbici, anche stavolta rende possibile l’incredibile. |
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