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  Ake Edwardson e il giallo scandinavo  
 
 09/12/2011 
Il giallo scandinavo è ormai un genere estremamente popolare, con delle proprie peculiarità, alcune delle quali seguite anche da Ake Edwardson, l’autore di Grida da molto lontano: non c’è un eroe ma un intero dipartimento di polizia che tenta di risolvere il caso. Si assiste alle indagini ma anche alle relazioni tra le persone che compongono la squadra omicidi: «sono da sempre stato un fan di Maj Sjowall e Per Wahloo, e quando ho iniziato a scrivere mi sono ispirato a loro. Ho creato questa squadra di poliziotti che diventano sempre più vicini uno all’altro, tanto vicini che incominciano a odiarsi. Questo è quello che accade a molte relazioni in realtà. Io volevo riportare questo racconto collettivo nell’età moderna e vedere come potevano funzionare questi personaggi nel nuovo millennio, nella nuova società».

Ake Edwardson, nato in una piccolissima città di mille abitanti, in una regione di grandi laghi, antico crocevia commerciale, ha ambientato i suoi libri per lo più a Goteborg, «la seconda città della Svezia, un milione di abitanti, una città dove il mare si sente dappertutto, il mare che da ricchezza ma anche tristezza. Quando ho scritto il mio primo romanzo poliziesco, nel 1993, era considerato ridicolo scrivere di questa città, perché ha la fama di un posto dove solamente si lavora, ci si diverte e dove tutti cantano. Io l’ho presa sul serio, perché sapevo che stava per cambiare. E dal 1993 è veramente cambiata molto. Per me è una delle città più dinamiche dell’intero Nord Europa. Perfino la criminalità è a livello mondiale. Prima non c’era niente, ora  ci sono bande, droga, macchine bruciate in strada. Mostro come una città possa cambiare».

Ha scritto ventuno libri, la metà dei quali non polizieschi (letteratura per infanzia, viaggi), e la sua carriera è iniziata con il giornalismo, stile che nella scrittura della trama è ben visibile. Protagonista è il commissario Erik Winter, giunto al decimo libro, ai cinquanta anni, e che nel romanzo presentato a Courmayeur, si trova di fronte al ritrovamento del corpo di una donna senza nome.
I temi che si ritrovano in questo libro sono i temi chiave di tutta la narrativa noir scandinava: l’emigrazione, le politiche della estrema destra, ossia, il giallo viene usato come strumento per parlare degli elementi e dei conflitti della società: «Se si usa la politica per dire qualcosa di politico non si fa lo scrittore, ma il politico. Con questo voglio dire che la scrittura in quei casi non è quello che viene prima. Nella buona letteratura in generale, il linguaggio, la scrittura, deve essere presente. Il resto viene da sé. Nella scrittura di polizieschi in Scandinavia molti cercano di portare avanti una agenda politica, guadagnandoci. Io cerco di capire quello che succede, vedere quello che accade. Uno scrittore non dovrebbe dire nulla di politico, perché se scrive bene, è il libro stesso a essere un commento sulla società».

«Credo all’intuito, alla fantasia. Credo che queste siano le qualità che ci permettono di essere più bravi di altri. Quando ho iniziato a parlare con i poliziotti ho notato che quelli che usavano l’immaginazione fossero più bravi, andassero più avanti. Credevo che fosse una leggenda, ma sono gli stessi poliziotti a dirmi che è vero. Usare l’immaginazione, sentire l’aria, è quello che molte volte fanno. Un paio di anni fa ho detto che non avrei più scritto romanzi con Winter protagonista, ma mi sono trovato di fronte a una storia che mi sembra perfetta. Per cui a novembre dell’anno prossimo ci sarà di nuovo un romanzo con Winter come protagonista, e sicuramente tornerò a Courmayeur per presentarvelo».