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  Indagine su una realtà
al di sopra di ogni sospetto
Cyril Tuschi e Giovanni Donfrancesco
 
 
 09/12/2011 
[immagini a cura di Leonardo Andreozzi, Nicola Garau e Giuseppe Salerno]

Presenti nella sezione DocNoir, Le vere false teste di Modigliani di Giovanni Donfrancesco Khodorkovsky di Cyril Tuschi indagano con coraggio e intelligenza la realtà, proponendo uno sguardo insolito su due vicende conosciute, ma non troppo, e comunque molto interessanti.

Il primo, come si intuisce già dal titolo, ripercorre i fatti svoltisi a Livorno nell’estate del 1984, quando delle teste realizzate in uno stile molto simile a quello di Modigliani, venne spacciata come autentica, nonostante fosse stata realizzata da alcuni ragazzi per gioco. Il secondo approfondisce la figura del capitalista russo Mikhail Khodorkovsky, spedito in un una prigione siberiana perché personaggio scomodo agli occhi del Presidente Putin, suo diretto rivale.

«La decisione di fare un documentario è arrivata all’improvviso - afferma Cyril Tuschi -. Ho conosciuto la sua vicenda durante un festival russo al quale ero stato invitato. La storia mi è sembrata subito un dramma fantastico per un film a soggetto. Poi ho saputo che Khodorkovsky ascoltava Tchaikovsky in prigione, indossava sempre vestiti bianchi, faceva lo sciopero della fame. La fiction non era abbastanza forte per raccontare questo personaggio. Mi sono dunque cimentato con il documentario. Ho imparato ad aspettare, a preparare le interviste. Ora posso usare ciò che ho appreso sul set anche per la fiction».

Tuschi, dunque, ha scelto la forma linguistica del documentario per raccontare un frammento di realtà che sfugge all’artificiosità della narrazione di fiction. A proposito della post-produzione e della diffusione del film, il regista tedesco racconta: «Sono passato al montaggio nel momento in cui siamo riusciti a ottenere un’intervista con Khodorkovsky; in caso contrario, avrei continuato a raccogliere materiale. Finora ho realizzato solo film a soggetto, questo mondo è completamente nuovo per me. Per la distribuzione mi sono rivolto a molte televisioni ma senza risultati. Ad ogni modo siamo riusciti a farlo arrivare in Germania, Francia, Polonia, Russia, Svizzera e a New York».

È una produzione molto sofferta anche quella di Giovanni Donfrancesco: «L’aspetto più doloroso de Le vere false teste di Modigliani è proprio quello produttivo. Questo documentario nasce come una coproduzione, ma in realtà, e lo dico nei panni di coproduttore del film, la maggior parte dei finanziamenti sono arrivati dall’estero. Ed è veramente difficile proporsi sul panorama internazionale non avendo un appoggio dal proprio Paese. È una realtà con cui il documentario italiano deve far spesso i conti. Ad ogni modo siamo in trattative con alcune Reti. Molte emittenti estere sono già state coinvolte e sono in piena attività; speriamo che ci sia anche una distribuzione italiana. Intanto dovrebbero esserci anche proiezioni in un piccolo circuito di sale».

Anche Donfrancesco, come Tuschi, ha voluto investigare attraverso la forma del documentario un aspetto intrigante della realtà, ovvero l’intrinseca contraddizione che popola il mondo dell’arte contemporanea. Afferma il regista: «Quando si vuole credere fortemente a qualcosa, lo si crede anche se ogni evidenza ci dice il contrario. Al di là della storia molto divertente che ho raccontato, in filigrana si possono osservare altre questioni molto interessanti che mi hanno coinvolto sin dall’inizio e che riguardano il modo in cui ci approcciamo all’arte. Considerare di un’opera solo la biografia dell’autore e la sua originalità, porta a sacrificare il rapporto emozionale con l’opera stessa, asservendo le esigenze di mercato».

In quest’equazione tra autore, pubblico e opera d’arte, Donfrancesco inserisce anche il fattore mediatico: «la vicenda accadde negli anni Ottanta, poco dopo il ritrovamento dei bronzi di Riace. In quel periodo era dunque fortissimo il desiderio di scoprire tesori nascosti, il fascino del ritrovamento archeologico. Non stupisce, dunque, come un falso sia stato immediatamente bollato come autentico.  Quando i tre ragazzi si sono dichiarati autori della scultura, nessuno gli credette. Siamo abituati ad attenderci dalla scienza una risposta certa; probabilmente in questo caso non c’era, dal momento che non si può determinare con certezza quando viene scolpita una pietra. La soluzione più onesta sarebbe stata dire: non siamo in grado di determinare se siano vere o false. Solo nel momento in cui al telegiornale, sfruttando dunque la credibilità del medium televisivo, i ragazzi hanno scolpito una testa simile a quelle rinvenute, si è ritenuto plausibile che fossero stati loro».

Alla domanda su che fine abbia fatto le teste scolpite dai ragazzi, Donfrancesco risponde: «sono in un magazzino del comune di Livorno. Custodite come opere d’arte false che magari tra duemila anni diventeranno autentiche. Il confine tra il vero e il falso è estremamente labile».