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  Apocalisse Now  
 
 09/12/2011 
Forse l’Apocalisse è già iniziata e non ce ne siamo neanche accorti.
Di questo si è parlato nel convegno Vedo Nero. Un'apocalisse ci salverà?, che ha visto gli interventi di alcuni esperti di apocalisse coordinati da Ranieri Polese.

Un romanzo storico sulla Apocalisse, lo hanno già scritto Davide Dileo Boosta e Tullio Avoledo, a parlare del post catastrofe, si è preoccupato Antonio Scurati. Ma forse le difficoltà - come dice Gianni Canova - sorgono dal passaggio dalla sindrome di Nerone raccontata da Bazin, cioè della perversa gioia di vedere il mondo che si distrugge, alla sindrome di Enea, cioè il piacere di vedere il sopravvissuto che resiste, il fondatore di una nuova città e di una nuova civiltà. Nuove città che magari possono diventare luoghi da incubo, come racconta Giorgio Scerbanenco ne Il cavallo rubato, uno dei suoi tre romanzi fantascientifici, scritto negli anni Quaranta ma pubblicato solo nei Sessanta, nei quali lo scrittore immagina uno scenario post apocalittico, con Milano dove si iniziano a costruire le prime case di pietra, un esercito di disperati accampato sulle rive del Ticino e tenta di avvicinarsi alla città, e una organizzazione (armata) della società ossessionata dal tradimento.

Courmayeur ha una sorta di familiarità con la Apocalisse. Nel 1960 il profeta Emman aveva annunciato l’arrivo, il 14 luglio, di un nuovo diluvio universale. Si sarebbero salvate solo cinquemila persone alle falde dell’Everest e settemila sul Monte Bianco. Arrivarono dalle città, arrivarono anche le telecamere dell’Istituto Luce a riprendere i rifugiati e a permettere a noi di rivedere oggi quelle scene. Non arrivò l’acqua ed Emman sentenziò che tutti possono sbagliarsi. Tutti compreso Dio, forse.

Ed è in questa assenza di Dio che si percepisce il dramma che vive la nostra società. L’Apocalisse, la Rivelazione, portava infatti con se, come ha sottolineato Scurati, la remunerazione di qualcosa di nuovo, di più grande, Nella lettera ai Corinzi, San Paolo la racconta parlando di trombe che squillano e di trasformazione. Forse l'Apocalisse servirà al genere umano per sopravvivere. Del resto il nostro pianeta ne ha vissute già tante, ha raccontato Valerio Calzolaio, non solo quelle che hanno portato all'estinzione dei dinosauri, ma anche a quelle sconosciute, che hanno fatto scomparire dalla faccia della Terra altre cinque razze umane che si contendevano lo spazio assieme all’Homo Sapiens.

Apocalisse che non è catastrofe, anche se nel linguaggio giornalistico ormai i due termini coincidono. E le catastrofi apocalittiche si susseguono con sempre maggiore frequenza: lo tsunami, le esplosioni nucleari, la crisi economica, o anche il semplice aumentare di un grado e mezzo della temperatura della Terra che porterà all'impossibilità, per il genere umano, di abitare questo pianeta, e che nel frattempo causa inondazioni e desertificazione, e conseguenti esodi biblici, di abitanti di luoghi che diventano sempre più desolati, verso altre terre, più ricche.

Catastrofi che, come racconta Federico Tavola fisico nucleare e autore di Che bella vita, possono essere naturali (e allora il problema non si pone, l’uomo non può farci niente), o antropogeniche, e qui entra in gioco il problema dell’informazione. Della necessità, cioè, di essere pienamente consapevoli dei rischi che la tecnologia fa correre. E a questo proposito Tommaso Pincio ricorda il Club di Roma, un consesso di scienziati che negli anni Sessanta si riuniva per immaginare gli scenari futuri della nostra società.

Le catastrofi sono prima di tutto catastrofi sentimentali. La morte arriva dopo. Nella sua tetralogia sull’Apocalisse, Ballard disegna persone che si trovano ad affrontare non solo il mondo che scompare, ma anche la parte primordiale di noi stessi. L’Apocalisse è la fine dei tempi, forse c’è già stata, forse sta per avvenire, forse qualcuno si salverà. E in questo caso, ci ricorda Tullio Avoledo, sarà proprio dei sopravvissuti che il nostro pianeta dovrebbe avere paura.