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L'Italia in noir, parte II I candidati al Premio Giorgio Scerbanenco - «La Stampa» Ugo Barbàra, Donato Carrisi e Valerio Varesi |
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08/12/2011 |
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[immagini a cura di Leonardo Andreozzi, Nicola Garau e Giuseppe Salerno]
Ugo Barbàra, Gianni Biondillo, Donato Carrisi, Roberto Costantini, Valerio Varesi sono i cinque autori che concorrono al Premio Giorgio Scerbanenco - «La Stampa» 2011. Cinque modi di raccontare l'Italia, cinque modi di interpretare il ruolo dello scrittore, tra impegno e intrattenimento. La parola a Ugo Barbàra, Donato Carrisi e Valerio Varesi che hanno presentato rispettivamente: Le mani sugli occhi (Piemme), Il tribunale delle anime (Longanesi), È solo l'inizio commissario Soneri (Frassinelli)
Ugo Barbàra L’Italia che racconto nei miei romanzi è quella che non si vede. Quella che agisce sotto traccia, cresce, si sviluppa e che pur di prendere il controllo dei 'motori' della società - economia e politica - non esita ad assumere derive criminali. Se In terra consacrata narra l’intreccio tra malaffare, banche e Vaticano, Le mani sugli occhi usa come pretesto la partita truccata che si gioca al tavolo della finanza internazionale per riportare sulla scena Vittorio Tanlongo e raccontare il dramma tutto personale che vive quando è costretto a rivestire i panni che indossava nel precedente romanzo, Il Corruttore.
C’è una definizione - molto discussa, ma che secondo me è quanto mai calzante - data dai Wu Ming a una sorta di movimento letterario che si è sviluppato negli ultimi cinque, sei anni: 'New Italian Epic'. È l’esigenza che alcuni scrittori sentono di raccontare l’Italia più recente facendo luce su alcuni episodi altrimenti destinati a rimanere oscuri. Forse solo gli autori di genere possono assolvere a questo compito così importante, perché solo il controllo delle dinamiche narrative che un scrittore di thriller o di gialli o di noir deve necessariamente avere permette all’autore di mappare e al lettore di percorrere quelle strade misteriose intorno alle quali è cresciuta una certa realtà. Non solo per comprendere fenomeni criminali come quello terroristico che dominò negli anni Settanta o quello mafioso degli anni Ottanta e Novanta, ma anche alcuni meccanismi che oggi condizionano la società: dalle speculazioni finanziarie alle manovre per mantenere il controllo delle risorse naturali.
Donato Carrisi L'Italia che racconto è un 'non luogo', una sorta di universo a specchio. Ma uno specchio nero. Nel mio ultimo romanzo c'è Roma e il complimento più bello che viene dai romani è sempre: «È Roma ma non sembra Roma». Infatti sono dovuto scappare per descriverla, allontanarmi per sentirla vicina. Portare via gli occhi perché fossero le parole a guardare, perché fosse il sesto senso del cuore a farmi da guida in luoghi conosciuti... ma che, in realtà, non conoscevo.
Io non sono uno scrittore, mi sento un narratore. Gli scrittori non esistono e non hanno alcun ruolo. Le storie esistono, anche se sono frutto di fantasia. Non mi piacciono i libri che pretendono di trasmettere una lezione o una morale. Ogni lettore sarà in grado di trovare un proprio messaggio a seconda di come il libro si amalgama alla sua vita. La definizione di 'romanzo sociale' è simile a quella di 'cinema impegnato': non significano nulla, se non la pretesa di porsi a un livello superiore rispetto agli uomini e alle donne a cui sono destinati. Il senso della vita può essere celato anche negli ingredienti stampati su una confezione di zuppa di pollo. Non si dovrebbe sottovalutare la potenzialità rilevatrice della lecitina di soia. Riflettiamoci.
Valerio Varesi Racconto l'Italia di provincia, vale a dire l'Italia prevalente, visto che il nostro Paese è soprattutto fatto di piccoli e medi centri. La mia provincia è quella padana, ricca ma snervata e smarrita, dove il benessere, scaturito dall'energia creativa del dopoguerra, è diventato l'unico valore. Una provincia che assiste passivamente all'infiltrazione malavitosa, molto combattuta a parole nella ritualità della politica, ma di fatto accettata perché si fa strada usando l'unico valore oggi rimasto, vale a dire quello di scambio. Un mondo dove la politica quale strumento di orientamento della nostra vita di comunità, ha abdicato limitandosi a dare forma alle modificazioni apportate dal potere del denaro. Un mondo dove chi governa non progetta una società e un dover essere sociale, ma piega la società agli interessi di alcuni. È in questo contesto, in cui aumenta costantemente la differenza tra chi sta bene e chi sta male, che maturano i miei casi di violenza. Ed è così che, indagando su un delitto, il mio commissario indaga anche sulle ragioni del nostro malessere.
Credo che il ruolo dello scrittore sia sempre lo stesso da sempre: quello di rispecchiare la realtà trasfigurandola, facendosi specchio critico. La grande letteratura è l'essenza del reale, la sua vera manifestazione. In questo mondo in cui l'imperante marketing ha costruito un'apparenza seducente al punto da apparire l'unica cosa desiderabile, in cui tutto è diventato evanescente per il costante allontanamento dell'uomo dalla sua radice naturale, in cui la finanza virtuale si è sostituita al lavoro, lo scrittore ha il dovere di mostrare l'altra faccia del mondo lavando via a uno a uno tutti questi orrendi belletti. Non è un caso che il successo editoriale sia arriso anche a libri che hanno semplicemente mostrato com'è il mondo senza i filtri del marketing sociale. Viviamo in un contesto così artefatto che risulta rivoluzionario ed eversivo il semplice atto di chi scrive mostrando l'essere nudo delle cose. Ma io chiedo allo scrittore di fare anche un passo in più: dare un'interpretazione, ritrovare il filo che lega le perle della collana, ridare forma a un reale multiforme e deforme. Ritrovare il logos che lega le manifestazioni del reale. O almeno provarci.
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