NOIRMENU 2009  
Edizione 2012
 
• Home  
• News  
• Photogallery  
• Programma  
• Cinema  
• Letteratura  
   
 
  Piccole storie in grandi scenari  
 
 12/12/2009 
Sono Jonathan Rabb e Matt Haig a chiudere gli incontri de La pagina Buia di quest'anno.
Ambientato a Berlino nel 1927, seconda avventura del commissario Nikolai Hoffner (la prima volta era apparso in Rose, libro non ancora uscito in Italia), Metropoli di Jonathan Rabb, racconta l’avvento di due dei più grandi totalitarismi del Ventesimo secolo: la società dello spettacolo e il nazismo. «Per scrivere questo romanzo mi sono documentato sia usando strumenti tradizionali (e in questo devo anche ringraziare le mie origini di accademico, sono stato, infatti, professore di Teoria delle dottrine politiche), sia leggendo moltissima narrativa scritta in quegli anni e che alla vita di quegli anni si riferiva. Penso principalmente  ai romanzi di Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz, sopra tutti), libro fondamentale per raccontare quella Berlino, o ad alcuni racconti di Erich Maria Remarque o di Nabokov».
Alla base del crimine sul quale il commissario Hoffner dovrà indagare è l’invenzione del sonoro nel cinema. Implicati nella vicenda anche alcuni protagonisti della cultura del secolo scorso: Fritz Lang, sua moglie, la sceneggiatrice Thea von Harbou, Peter Lorre.
Ma protagonista principale è Berlino: «Berlino nel 1919 era una città che non sapeva cosa fare. Ed è stato un periodo lunghissimo nel quale questa città ha vissuto questa crisi di identità, almeno fino al ’36, che è l’anno nel quale si concluderà la trilogia di Hoffner. Il commissario assomiglia alla città e, col passare del tempo, diventerà un detective peggiore ma un uomo migliore. Penso che il compito di uno scrittore sia proprio questo: riuscire a condensare grandi scenari in piccole storie».

E grandi scenari in piccole storie li crea anche Matt Haig, venuto a Courmayeur per presentare il Il patto dei Labrador. «Non tutte le cose negative – ci dice Haig – hanno come radice una cattiva intenzione. Delle volte facciamo cose sbagliate, ma le intenzioni originarie erano buone. Come scrittore penso che bisogna lavorare sull’ambiguità, e sottolinearla. Non si tratta, cioè di dare delle giuste risposte alle cose, ma di fare delle giuste domande».
Haig ha l’abitudine di inserire nelle storie dei precisi rimandi alle opere shakespeariane. «Io leggo molta narrativa, di genere o meno, e non riesco a compartimentarla. Così come non riesco a farlo con me stesso. Io sono un narratore e questo mi definisce. Non credo nello scrittore che dice di scrivere solo per se stesso. Se fosse così, non avrebbe nemmeno bisogno di pubblicarli, i suoi libri. E pensare al pubblico non è cedere ai compromessi. Anche quando mettiamo dei pensieri sulla carta stiamo cedendo a dei compromessi. Perché noi non pensiamo in forma strutturata, ma quando scriviamo dobbiamo creare una struttura alle cose che pensiamo. La sola cosa importante è essere certi di se stessi».