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Le storie ambigue |
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11/12/2009 |
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con la collaborazione di Gabriele Russo (DAMS di Torino)
Come è già capitato per la serie televisiva Il mostro di Firenze, con L'affaire Farewell (leggi il dossier), film in concorso diretto dal regista francese Christian Carion con protagonista Emir Kusturica, ci troviamo di fronte a fatti realmente accaduti ricomposti in un racconto di finzione. Dunque, non solo la fantasia di Jennifer's Body e Zombieland, o il ritorno al genere della blaxploitation degli anni Settanta ammirata in Black Dynamite, ma anche il desiderio di affrontare la storia e la memoria collettiva, come sempre accade a Courmayeur e più in generale nei prodotti noir.
Affrontare la realtà, soprattutto se scomoda, ha i suoi pro e contro. «A volte quando si infastidisce un regista si finisce, per vie traverse, con l’aiutarlo» rivela Carion durante l'incontro al Courmayeur Noir in Festival, riferendosi ai problemi avuti con il Ministro della Cultura Russa che ha in vario modo ostacolato il progetto. La prima conseguenza è che il film è stato girato in Ucraina e in Finlandia e non in Russia, la seconda è stata la scelta di Emir Kusturica per la parte del colonnello Grigoriev, in sostituzione a un attore russo che è stato dissuaso proprio dalle pressioni subite. Scelta, quest'ultima, che di riflesso ha riscosso successo sia tra i critici che tra gli spettatori, e aggiungiamo anche tra i giurati del concorso che hanno deciso di premiarlo come miglior attore. «L'affaire Farewell non è un documentario ma un film ispirato a fatti reali. In fondo tutte le informazioni che ho – spiega Carion – sono solo testimonianze. Certo, quando si ha a che fare con i servizi segreti tutto è possibile». Va detto che su questa storia le versioni dei fatti sono molteplici: quella americana, quella francese e quella russa; perciò il regista ha preso elementi comprovati, ma non si è negato la possibilità di prendersi delle libertà narrative inserendo elementi che erano funzionali al racconto.
Di tutt’altro genere, l’horror di Pål Øie, Skjult (Hidden), ambientato in un contesto naturale, tra i boschi e le montagne norvegesi, che producono suggestioni contrastanti, un mix di fascinazione e paura, come d’altra parte si richiede a un horror classico. E non solo. Ancor più contrastanti sono le versioni che il pubblico ha dato alla storia di Kai Koos, prima ragazzo al quale è accaduto un incidente, poi uomo che torna nei luoghi da dove era scappato con l’intenzione di dimenticare il passato. Chi è Kai Koos? Chi è Peter? Ed è giusto chiedersi chi sono questi e altri personaggi, oppure il verbo “essere” in quanto “esistere” non si addice loro? «Ci sono tante domande a proposito di Skjult – ha detto Øie –, quello che spero è che la storia sia complessa e non confusa. Credo che un film come questo possa permettersi delle ambiguità, per cui sono ben lieto di parlare con voi [il pubblico presente all’incontro, ndr.] e ascoltare le vostre interpretazioni». E qui dobbiamo fermarci. Non possiamo ovviamente anticiparvi niente, nel caso un giorno questo film approdi nelle sale italiane e semini ulteriore panico interpretativo. Per ora il regista pensa al mercato europeo e a quello del Sud e del Nord America dove i suoi precedenti lavori hanno avuto una buona distribuzione soprattutto in dvd. Øie, oltre alle sorti di Skjult, sta pensando anche al prossimo film ambientato in un lago di montagna, con un aereo della seconda guerra mondiale ritrovato nei fondali.
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