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  Le mele marce e il bambino. Juan Madrid e Jonathan Trigell a confronto  
 
 11/12/2009 
Ci sono molte differenze tra un giornalista e uno scrittore. Un giornalista, al pari di un magistrato, non può scrivere o dire cose se mancano delle prove. Juan Madrid, e Carlo Lucarelli che ha presentato il libro Mele marce, questa differenza la conoscono bene. E per questo, entrambi, usano i loro libri per denunciare situazioni, mettere in scena dei meccanismi, riaffermare idee. La forza della narrativa è proprio nella possibilità di lasciarsi andare alle proprie sensazioni: «Io – dice Juan Madrid – non so se la letteratura possa trasformare il mondo. Ma so che trasforma me».  
Mele marce, racconta di un passato che non va dimenticato. Ambientato a Marbella  «un luogo dove la corruzione del sistema è particolarmente evidente», il libro parla della dittatura argentina.
«Per scrivere questo libro – continua Madrid – mi sono ispirato ad altri due libri. Il primo è Operazione Condor, patto criminale, scritto dalla giornalista argentina, di origine italiana, Stella Calloni, che racconta del casuale ritrovamento, in una gendarmeria del Paraguay, di un immenso archivio nel quale ci sono le prove dei rapporti tra la polizia sudamericana e i servizi segreti americani, delle torture, delle fucilazioni, e, soprattutto, della controinformazione che veniva pubblicata per nascondere la verità delle cose. Il secondo libro, invece, si chiama L’isola del silenzio, anche questo scritto da un giornalista argentino, Horacio Verbitsky, e parla del ruolo della Chiesa Argentina, e delle sue complicità tra il 1976 e il 1983, durante la dittatura. Un libro, che fa impressione anche per “il silenzio”  che ha generato. Nessuno ne parla, nessuno lo prende mai in considerazione».

Prende spunto dalla cronaca, in maniera indiretta, anche Boy A, di Jonathan Trigell, scrittore inglese, che attualmente vive a Chamonix, sul versante francese del Monte Bianco.
Nel 1993 James Bulgar, un bambino di tre anni, fu rapito, seviziato e ucciso da due ragazzini di dieci anni. Il caso fece molto scalpore in Gran Bretagna, scalpore alimentato dalla stampa popolare. Ci si chiese se fosse giusto considerare punibili due ragazzini di dieci anni: «un bambino che ha una vita felice – dice Trigell – non uccide. Non credo che nascano bambini cattivi. Dietro queste violenza ci sono sempre storie di abusi, bullismo, droga».
Introdotto da Simona Vinci, Trigell ha raccontato di questa storia di innocenza perduta e ritrovata, di carceri e stampa, ambientato in una città fittizia, nel Nord dell’Inghilterra. «Per scrivere la mia storia mi sono documentato in modi diversi. Ho parlato con psicologi, un mio amico da ragazzino ha compiuto diversi reati, e lui mi ha aiutato molto per capire le carceri, i linguaggi che si parlano, le relazioni con i secondini. Per quanto riguarda la struttura della prigione, invece, ho usato i mezzi più tradizionali, libri o Internet. Quello che mi interessava era riflettere sulla possibilità di una seconda opportunità nella vita». Boy A, nel frattempo è diventato un film per la televisione, diretto nel 2007 da John Crowley e interpretato da Peter Mullan: «Nel film non ho avuto un ruolo. Mi hanno mostrato la sceneggiatura, ovviamente alcune cose si sono perse, ma l’atmosfera è rimasta uguale. Poi Mullan è un attore fantastico, ed è perfetto per il ruolo».