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  Il contesto del crimine. Al via gli incontri al Jardin de l'Ange  
 
 08/12/2009 
Ad inaugurare La pagina buia, insieme a James Sallis, c'era Carlo Bonini, giornalista de «La Repubblica», che ha presentato Il fiore del male, libro scritto quasi dieci anni fa a quattro mani con Renato Vallanzasca, ed oggi ripubblicato dalla casa editrice Tropea in occasione della prossima uscita del film sul bandito milanese che vedrà dietro la macchina da presa Michele Placido, e nei panni del protagonista Kim Rossi Stuart (progetto nel quale, però, Bonini non è stato coinvolto).
«Il libro - dice Bonini - parte da un desiderio che dovrebbe essere il desiderio di ogni cronista: fare delle domande e trovare delle risposte»; quelle risposte che gli hanno permesso di ripercorre non solo il percorso criminale del bandito milanese, ma anche il suo percorso psicologico. Un libro a due voci, con Vallanzasca che gioca un po’ con la sua leggenda e Bonini che lo riporta prepotentemente alla vera realtà delle cose, citandogli atti giudiziari e cronache delle quali si è reso protagonista. Un libro che non ha messo un punto nella vita del bel René, tanto che in questi ultimi dieci anni, dalla uscita cioè delle prima edizione ad oggi, nella sua vita sono successe molte altre cose: ha divorziato e si è risposato con una sua vecchia amica di infanzia, ha cambiato altri due carceri, è stato ammesso al lavoro esterno, collaborando con Don Mazzi nel tentativo di recupero di giovani tossicodipendenti. Attualmente usufruisce di una sospensione della pena, a causa di una operazione che ha subito, conseguenza di vecchie ferite del suo periodo d’oro. 
«Vallanzasca oggi è una figura del passato, un signore di mezza età che non sopravvivrebbe nemmeno tre giorni se decidesse di tornare alla sua vita criminale.  Un uomo che non ha mai voluto raccontare pubblicamente il suo rapporto con il pentimento, né, tantomeno, il suo rapporto con i parenti delle persone che ha ammazzato, perché convinto, dice Bonini, che questo è un gesto che deve assolutamente restare nella sua vita privata. Il suo debito con la società, invece, lo paga scontando la pena che gli è stata comminata».
Una pena molto lunga (probabilmente Vallanzasca, insieme a Graziano Mesina, detiene il record della più lunga permanenza nelle carceri italiane: oltre quaranta anni. E di questi anni, più di nove sono passati in regime di isolamento diurno), ripetutamente confermata (sono ben due le richieste di grazia che gli sono state respinte). «Una pena - dice Bonini - così dura e lunga forse solo perché lo Stato, a volte, ha bisogno di fare la voce grossa con i deboli, e Vallanzasca, paradossalmente, è un uomo debole, senza nessuna amicizia politica, senza più nessun reale rapporto con la società o i luoghi dai quali proviene». Un uomo di un'altra generazione, che apparteneva ad una idea della criminalità completamente diversa, crudele e cattiva, immagine di una città, Milano, che stava cambiando profondamente, e di un modo di vivere la malavita, che dietro una patina di onore, in realtà raccontava solo il sogno di avere soldi facili, belle donne, droga e automobili potenti. Status symbols della ricchezza che, da quegli anni in poi, è diventato il solo valore che segnala il successo personale.
In un contesto completamente opposto, si muovono invece i criminali ed i detective che James Sallis ha raccontato nel corso della sua carriera. Una scrittura, la sua, completamente immersa nel contesto socio culturale dei luoghi nei quali ha vissuto. 
Presidente della giuria di questa edizione del Noir in Festival, musicista polistrumentista, Sallis scrive nello stesso modo in cui fa musica: «non so mai quello che succederà – dice dei suoi libri -  non mi piace raccontare storie delle quali già conosco la fine. Improvviso»
I suoi personaggi principali sono due: l’investigatore privato afroamericano Lew Griffin, e il veterano del Vietnam John Turner. Il primo che si muoveva nelle strade di New Orleans, il secondo svolge la sua carriera all’interno di una piccola cittadina del Tennessee.
«Ho scelto New Orleans – dice Sallis – perché penso che sia uno dei pochi posti in America dove un nero può andare ovunque e può fare qualsiasi cosa. La piccola città del Tennessee, l’ho scelta invece perché questi piccoli paesi sono luoghi che si stanno dissolvendo e che voglio raccontare prima che scompaiano, ma sono anche i posti nei quali si possono ritrovare tutte le caratteristiche che si associano agli americani».
E tra le caratteristiche degli americani, altro tema centrale dei suoi racconti, l’uomo che si isola da una comunità, ossia il bisogno di conquistare nuovi spazi: «ogni americano – dice Sallis – in fondo al cuore è un cow boy, una persona che vive il contrasto tra il seguire le regole ed il volerne fuggire. Una ambiguità di cui una chiara testimonianza la si vede, per esempio, nella serie televisiva CSI, dove i personaggi sono fondamentalmente cow boys che vivono e lavorano, non sempre con facilità all’interno del sistema».
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