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  In cinque per il Mystery  
 
 06/12/2009 
Parallelamente alla selezione ufficiale, comincia anche la sezione a concorso dei documentari, Doc Noir. Curata da Luciano Barisone e Carlo Chatrian, e giudicata dai “giovani critici europei” e dagli studenti del DAMS di Torino, a competere per il Premio Mystery saranno cinque titoli: Welcome to Tijuana, Main basse sur l‘Europe, Entre ours et loup, Killer Poet e Playing Columbine.
Tra i vari fili rossi che possono essere rintracciati trasversalmente tra le varie sezioni, ci limitiamo a segnalarne uno: quello che unisce il documentario di Agnès Gattegno, Main basse sur l‘Europe, e la presentazione nello “Spazio Italia” del film di Claudio Cupellini, Una vita tranquilla. Entrambi affrontano il tema della n’drangheta calabrese, cominciando la loro narrazione, in forma di documentazione o di ispirazione, dalla strage di Duisburg avvenuta il 15 agosto 2007, nella quale vennero uccisi sei italiani.

Questa l’introduzione al catalogo dei curatori della sezione Luciano Barisone & Carlo Chatrian, Guardare fuori, guardarsi dentro
 
Negli innumerevoli film del genere noir la figura dell’investigatore (pubblico o privato) e quella del giornalista fotografico si fiancheggiano – e in molti casi coincidono – nell’evidente scopo di dare forma ai sospetti attraverso l’immagine-prova. Il valore testimoniale di quadri fotografici fissi o in movimento serve in quelle occasioni a dare una svolta all’indagine, risolvendo con qualcosa di tangibile la ricerca del colpevole.
Lo stesso dispositivo si può ritrovare oggi nel documentario, che, unendo scopi civili e ambizioni artistiche, racconta storie di vita nel tentativo di analizzare fenomeni sociali in cui il crimine e la politica s’intrecciano indissolubilmente, non sempre l’innocente è scagionato e quasi mai si assiste a un «lieto fine». Se dunque, per lo più, nella finzione i casi sono risolti, nel documentario ciò non avviene quasi mai. Il suo compito non è, infatti, quello di fornire indicazioni certe per assicurare alla giustizia chi ha commesso un reato quanto quello di fare riflettere lo spettatore su un fenomeno contemporaneo, di cui lui stesso fa parte come cittadino del mondo, creando le premesse per il formarsi di un’opinione pubblica e di una coscienza civile. Esso diventa allora più che una storia di «delitto e castigo» il quadro analitico di una società e delle sue contraddizioni. È quanto si vede nei cinque film che compongono la sezione DocNoir di questa edizione del Noir in Festival, tesi a mostrare la complessità di fenomeni che spaziano dall’America all‘Europa.
L’immagine complessiva è quella di un disagio globale e soprattutto di una criminalità dilagante, tesa a occupare tutti gli aspetti della società: dal controllo assoluto dei territori di frontiera, esercitato dai narcotrafficanti messicani (Welcome to Tijuana di Yorgos Avgeropoulos), alla gestione del mercato degli stupefacenti in Europa effettuata con spietata efficienza dalla n’drangheta calabrese (Main basse sur l‘Europe di Agnès Gattegno), alle limitazioni coercitive e violente della libertà di pensiero e parola ogniqualvolta in Russia viene nominato il conflitto ceceno (Entre ours et loup di Denis Sneguirev), alle contraddizioni del tessuto sociale e civile degli Stati Uniti d’America, dove si può essere assassini in fuga e poeti celebrati dalla critica (Killer Poet di Susan Gray) o dove uno spaventoso massacro diventa un gioco virtuale scaricabile liberamente da internet (Playing Columbine di Danny Ledonne).
Evidentemente nessuno di questi film vuole (o può) risolvere i casi che mostra. I cineasti li studiano e li analizzano nel tentativo e nella speranza di bucare l’attenzione inerte del pubblico, spesso cloroformizzato dai materiali omologati dei media e convinto assertore dell’idea qualunquista che “casi come questi ci sono sempre stati e sempre ci saranno”. Il documentario sfida questa pigrizia delle coscienze, convinto che anche un solo spettatore colpito da quei film possa contribuire alla nascita di un’etica comune e condivisa. Se nelle fiction televisive i commissari risolvono i casi e rassicurano, nei documentari noir l’urgenza dei problemi irrisolti lascia con i sensi all’erta, costringendo a guardare fuori, a guardarsi dentro.