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Connery, il mio nome è… Neil Connery |
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07/12/2008 |
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Lo spazio del Jardin de l’Ange accoglie tutti i protagonisti che animano il Courmayeur Noir in Festival. Uno dopo l’altro si alternano registi, attori, produttori dei film in concorso o delle sezioni collaterali. Dunque le commistioni, gli incroci e le stranezze sono all’ordine del giorno. Il consiglio è di lasciarsi andare e immergersi nei diversi immaginari.
Un esempio su tutti: parlare di un prodotto indipendente come Frozen River, probabilmente destinato a ricevere un premio nella serata conclusiva, film asciutto, realista, duro, frutto di una preparazione decennale e ottimamente interpretato, dopo aver incontrato alcuni dei protagonisti della retrospettiva dedicata agli 007 all’italiana, vera e propria scommessa del Festival, nata dall’idea di curiosare e di lasciare spazio a un momento di ironia all’interno di un tema, quello del “complotto”, che proprio ridere non fa. Film, questi, che nascevano da realtà produttive forti, quando il cinema italiano era un’industria e le pellicole si realizzavano a ciclo continuo.
A raccontare in breve il senso della retrospettiva sono intervenuti il suo curatore Marco Giusti, Alberto De Martino e Neil Connery, rispettivamente regista e interprete di O.K. Connery. «Le spy story italiane degli anni Sessanta sono film dimenticati e mai apprezzati – ha esordito Giusti – E questo rappresenta un mistero. Certamente erano opere più deboli rispetto a quelle di genere che si producevano all’epoca. Tuttavia avevano delle grandi colonne sonore e dei set fantastici, addirittura si potevano avere quattro o cinque location diversi nei posti più disparati del mondo, cosa che oggi risulterebbe impossibile».
«Volevamo far vedere il mondo – ha proseguito De Martino – e fantasticare sulla tecnologia del futuro. Inoltre rispetto ai western, negli 007 all’italiana avevamo personaggi cinici senza scrupoli e una carica di erotismo maggiore».
Ovviamente è stato sottolineato il lato parodistico di quelle pure imitazioni. E in tal senso Neil Connery, protagonista anche di Non Aprite Quelle Porte con Andrea G. Pincketts, rappresenta uno degli esempi più geniali. Aver costruito una storia poggiandola su un simil Bond, col fratello del celebre Sean, fa di O.K. Connery una sorta di piccolo gioiello cult.
«Tutto è cominciato con un telegramma di Dario Sabatello – ha raccontato Neil – Un produttore che voleva incontrarmi. Mi sono presentato all’appuntamento. Lui mi osserva girandomi intorno. Poi a un certo punto inizia a fare apprezzamenti sulla mia condizione fisica. E alla fine mi chiede se voglio fare un film nella veste del fratello di James Bond. E io gli rispondo di sì».
«Spiegami perché – ha domandato Giusti – non sei diventato famoso, dopo quel film che peraltro rappresentò un vero e proprio caso?». «Semplicemente perché – ha risposto Connery – quando mi chiesero di fare un secondo film io non accettai. Poi scoprì che il regista che mi stava cercando era Sergio Leone. Chissà forse ho sbagliato, forse no».
Per chi ha visto O.K. Connery per la prima volta durante il Festival, c’è stata una piccola sorpresa. Infatti, i protagonisti del film sono in Svizzera e un castello esplode. In realtà, quel paese è Courmayeur. «Non sapevo niente di queste riprese – ha rivelato il Sindaco, Fabrizia Derriard – Mi ha fatto piacere vedere la città com’era quarant’anni fa. Ed è stato divertente scoprire nei titoli di coda il ringraziamento all’Assessorato ai Beni Culturali, dopo che il Castello era stato fatto esplodere».
Il Castello di Fenis è ancora al suo posto, Courmayeur è in Italia, il cinema forse è meno in salute che negli anni Sessanta. E Bond è “Bond, James Bond”. Ma per un piccolo attimo, Sean è stato solo il fratello di Neil.
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