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  Consapevolezza ed ambiguità  
 
 06/12/2008 
Sono Tina Porcelli, e Fabrizio Liberti ad aprire la seconda giornata di incontri con la stampa del Courmayeur Noir in Festival. E sono arrivati in Valle d’Aosta per raccontare il loro progetto che ha appena vinto il prestigioso Premio Solinas per il documentario: Di fronte al silenzio degli altri, basato sul libro di Cristina Cattaneo Cadaveri senza identità. La Cattaneo è medico legale e antropologo forense, e da anni si impegna, assieme all’associazione Labanof, nel dare un nome ed un volto alle centinaia di persone che ogni anno vengono trovate morte e per le quali non si riesce a stabilire una identità. “Sono persone, contrariamente a quanto uno si possa immaginare, prevalentemente italiane, e, sono veramente molte – hanno detto i due registi – Le persone che si trovano a combattere con questa realtà assurda si trovano di fronte alla endemica mancanza di fondi. Sono medici, ricercatori della sapienza, coordinati da questa associazione nata presso l'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Milano che dal 1985 studia i resti umani a fini identificativi”.

Emidio Greco, ha invece ricordato Una storia semplice, il film da lui tratto dal romanzo di Sciascia, che, vinse, tra le altre cose, nel 1991, il Premio alla prima edizione del Noir in Festival. Una occasione per ricordare un grande film, che fu caratterizzata dalla strepitosa interpretazione di Gian Maria Volontè, che anche grazie a questo film vinse il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra di Venezia, Un grande cast (Ennio Fantastichini, Ricky Tognazzi, Massimo Ghini, Massimo Dapporto…), ed un grandissimo scrittore, all’epoca probabilmente un po’ troppo sottovalutato. “Sciascia veniva considerato - ha detto Greco - soprattutto per il suo impegno sociale. Ma venivano trascurate le sue qualità letterarie. Qualità che era molto difficile riuscire a trasportare nel cinema”.

E come il film di Sciascia si giocava tutto intorno al problema dell’ambiguità, nello stesso senso anche il documentario di Massimo Coppola e Giovanni Giommi, Parafernalia, su una ragazzina di tredici anni, brasiliana,  che guidata dal padre, gestisce una comunità evangelica. La ragazzina millanta di essere morta all’età di due anni e poi miracolosamente resuscitata. “E in questo senso il nostro è il primo vero documentario sugli Zombie” ironizza Massimo Coppola. “Il progetto è nato grazie ad un video che abbiamo visto su You Tube. E dopo essere riusciti ad interessare La 7 siamo potuti partire. Oggi la situazione distributiva è molto complicata, avendo Campo Dall’Orto (che era uno dei nostri maggiori sponsor), lasciato quella televisione. In Brasile ci siamo trovati di fronte una realtà un po’ pop, la ragazzina ci sembrava una sorta di Shirley Temple in acido. Non sappiamo quanto lei possa essere consapevole di quello che fa, ma siamo certi che di suo padre è difficile potersi fidare”.

Aurelio Grimaldi ha invece presentato, assieme all’attore Gaetano Amato, il primo film italiano in concorso: Se sarà luce sarà bellissimo sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Un progetto produttivo che ha vissuto molte fasi: “avevamo pensato di fare una trilogia, ma all’ultimo momento non abbiamo più avuto la possibilità di realizzarla – ha detto Grimaldi – Adesso penso che faremo un dittico, ma mi mancano ancora dei soldi per poter completare il lavoro. Anche la copia che abbiamo presentato qui al Festival, ha bisogno di ulteriori correzioni. Ma sono contento di aver potuto far vedere il film, e ringrazio tantissimo il Festival per l’opportunità che mi ha dato”. Il film nasce dalla necessità di riflettere su un periodo fondamentale della nostra storia contemporanea: “Io sono molto interessato agli avvenimenti accaduti in Italia negli ultimi anni, alla consapevolezza storica; ma sono anche molto interessato alle persone che sono in grado di morire per delle idee. Il mio film attacca tutti: la Dc, lo Stato, le BR, la polizia. È un lavoro per me necessario, un lavoro di finzione, ma con un'enorme opera di documentazione alle spalle”.