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  Questione di generi?  
 
 06/12/2008 
Certi incontri nascono da coincidenze, altri da necessità. Nel caso di quello tenuto oggi al Centro Congressi sulla scrittura al femminile, Nero femminile, si può dire che valgono entrambe le cose. La contemporanea presenza di scrittrici noir (e non), tra queste la neo Chandler Award Alicia Giménez-Bartlett, ha fatto sì che si potesse discutere sullo stato della scrittura al femminile e sulla necessità, appunto, di rivendicare l'uscita da quegli stereotipi che le società antiche, moderne e, purtroppo, anche contemporanee impongono alle donne, scrittrici o più in generale appartenti a qualunque professione ed estrazione sociale.
A moderare l'incontro Loredana Lipperini, che ha subito posto all'attenzione delle relatrici due elementi statistici: la maggior parte dei crimini avviene dentro le mura domestiche e le donne sono coloro che più di ogni altro ne subiscono le tragiche conseguenze. Il secondo elemento riguarda l'immaginario: la figura femminile nelle rappresentazioni televisive, reali o di fiction, è divisa tra l'esser una pin-up e l'essere protagonista della cronaca nera, insomma o corpo mercificato o cadavere, non si sfugge.
Da questi due elementi è partita la discussione che ha avuto per protagoniste, oltre alla menzionata Giménez-Bartlett, altre scrittrici provenienti dall'Italia, dalla Svezia e dagli Stati Uniti.
La prima a prendere la parola è stata Elisabetta Bucciarelli che ha fatto riferimento al suo ispettore di polizia, Maria Dolores Vergani, una donna quarantenne che di fronte alle violenze quotidiane su cui indaga, reagisce con l'umanità propria della realtà di tutti i giorni: «per uscire dagli stereotipi occorre dare credibilità a un personaggio, la mia protagonista è fragile come nella vita normale lo si è di fronte a fatti violenti, ma è anche forte, e questo non significa un'omologazione alla forza maschile».
Ecco uno dei punti salienti che è stato ripetuto da molte delle scrittrici. La donna-personaggio dei romanzi è mossa da sentimenti che la portano a reazioni relative a ciò che accade di volta in volta e non a comportamenti frutto di uno schiacciamento su modelli predefiniti, ossia la donna/uomo o la donna/donna, intendendo per uomo e donna non degli esseri umani con identità complesse ma personalità definite e monolitiche divise per generi e categorie.
Tra le autrici presenti c'era anche la psicologa e scritrice Chiara Tozzi che ha individuato una differenza tra uomo e donna, o meglio una diversità tra la scrittura maschile e quella femminile: «la donna per certi versi attua una sospensione di fronte a un crimine, compie una riflessione sul senso della vita, per meglio dire sul significato del perdere o del togliere la vita».
Affermazione, quella della Tozzi, che ha aperto un altro fronte della discussione, cioè se una scrittrice debba porsi il problema di identificarsi come autrice al femminile e se, avvenuto questo autoriconoscimento, tutto ciò influisca sul suo modo di scrivere le storie più o meno cruente, di caratterizzare (si legga in negativo: stereotipare) i personaggi maschili e femminili, e dunque sui ruoli che i due sessi possono o non possono ricoprire.
Simona Vinci ha risposto in modo radicale: «Quel che conta è l'opera - e ha proseguito - Bisogna evitare di chiudersi in una gabbia stilistica e narrativa. In tal senso le donne dovrebbero essere più critiche rispetto a certi modelli che vengono imposti e smettere di sentirsi delle vittime».
All'opinione della Vinci ha fatto eco l'intervento della Bartlett che ha ribadito l'importanza delle storie da raccontare, che siano piccole o grandi: «Oggi non ci sono atti eroici da raccontare come una volta, ma non importa, le questioni politiche, ad esempio la lotta di classe, sono ugualmente importanti. Quel che bisogna prendere sul serio è la qualità letteraria».
Una qualità letteraria che a maggior ragione non può esprimersi adeguandosi ad argormenti maschili, ammesso che ne esistano, così ha sottolineato Sharon Bolton che si è detta «felice di possedere una visuale diversa». Un'originalità che secondo Liza Marklund rappresenta l'opportunità di «sapersi calare nel punto di vista dell'altro». Già, perché sempre come ha detto la scrittrice svedese, le storie di emancipazione e le conquiste dei diritti sono frutto di lunghi processi, ma questo, forse a riassumere l'incontro di oggi, non può e non deve significare perdere di vista l'altro, uomo o donna che sia, etero o omosessuale, di una religione o di un'altra, ora più che mai.
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Nero Femminile / Women In Noir