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  El asaltante  
 
 09/12/2007 
una recensione di Paola Manno
 

Un pedinamento. Un uomo di mezza età cammina a passo veloce in una città senza nome, senza volto. Entra in una scuola privata, la segretaria sorride, lui dice “questa è una rapina”, ha in mano una pistola, poi fugge, cerca di perdersi nella folla, si infila in un bar e ordina il tè, si brucia la mano con quel tè, esce, viene pedinato da una cameriera distratta e asmatica, torna a fare un’altra rapina, e noi, noi sempre insieme a lui. Incollati alla sua nuca come il complice migliore. Silenzioso, il complice-spettatore segue quest’uomo, protagonista assoluto del film, che sorride come un nonnino amorevole e agisce con movimenti freddi, precisi. Un uomo che vediamo quasi sempre di schiena perché potrebbe essere chiunque. Lo accompagniamo per sapere chi è, dove andrà, perché rapina. Un film che è praticamente un unico lungo piano sequenza con un montaggio ridotto all’osso, senza dialoghi, un film che crea suspense ma che affascina allo stesso tempo, una ricerca, insomma, che sfiora un lirismo riempito di lunghi respiri. Sopra tutto, un silenzio umano riempito dai rumori della città che urla, un silenzio che si frantuma, esplodendo, nella grida dei bambini dell’istituto dove quest’uomo sembra trovare il suo porto non sereno, nell’insostenibile disequilibrio dei giorni.