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  Tutti in piedi, entra Scott Turow  
 
 08/12/2007 
Dopo il dialogo di venerdì con Gherardo Colombo, lo scrittore statunitense, sollecitato dalle domande di Irene Bignardi e Andrea Purgatori, ha incontrato il pubblico per raccontare la sua esperienza artistica.
 
 
 
Tolstoj vs Ezra Pound
Secondo Ezra Pound l’artista è il rappresentante dell’avanguardia. Dovrebbe essere colui che si incarica di portare avanti la cultura, di trascinare i pensieri, senza preoccuparsi di essere universale. Ho sempre nutrito un certo sospetto verso questo atteggiamento, quanto meno dopo aver terminato i miei studi universitari.
Quando sono diventato procuratore, ho assunto il ruolo del narratore per le giurie. Il compito di un avvocato è simile a quello di uno scrittore: ascoltare tante voci, quelle dei testimoni per il primo, dei personaggi per il secondo; riunire tutto in qualcosa di coerente e universale, per la giuria nel primo caso, per i lettori, nel secondo. D’altra parte, l’avvocato che pensa non sia importante rivolgersi a tutti, è destinato a perdere la causa.
Come procuratore non ho mai avuto difficoltà ad attrarre la giuria, spiegando in modo semplice come era avvenuto il delitto, com’era sopravvenuto il male. E i temi che vengono alla luce in un’aula di tribunale somigliano a quelli affrontati da uno scrittore.
Perciò non sono d’accordo con Pound quando sostiene che la cosiddetta arte alta è materia per pochi. Sono piuttosto dalla parte di Tolstoj che sosteneva l’universalità dell’opera.
 
Saul Bellow
È difficile parlare del mio rapporto con Bellow. Ho letto i suoi libri come altri leggono il Vangelo. Nella mia prosa vi sono echi della sua letteratura, ad esempio gli usi idiomatici. Insomma era il mio idolo, forse anche per alcune cose importanti in comune: lui era di Chicago ed ebreo come me.
Tuttavia, nonostante la centralità della sua figura, non l’ho mai incontrato. Ho scambiato alcune lettere e qualche telefonata per un’intervista che poi non mi concesse, e niente più.
In realtà, non ho mai desiderato incontrarlo. Solo dopo la sua morte ho capito il motivo di questo rifiuto. Bellow era un compagno di scuola di mio padre e volevo evitare che la nostra conoscenza dipendesse da questo.
Il rapporto con mio padre è stato piuttosto difficile. Un uomo che aveva dentro di sé molta rabbia, anche per la prematura scomparsa di sua madre. E Bellow per certi versi era simile a mio padre.
 
Il pubblico
Il mio è un rapporto immaginario con il pubblico. È un abbraccio reciproco.
Per molti anni ho scritto sui treni dei pendolari e di notte nello scantinato di casa. Scrivevo molto e gli editori rifiutavano i miei lavori. Ma ogni artista continua a creare perché è fiducioso che il pubblico sia lì ad aspettare proprio la sua opera.
La mia linea temporale è diversa da quella dei miei lettori. Negli scambi di posta e e-mail mi rendo conto che quello che è importante per il pubblico forse per me non lo è più, perché nel frattempo io sono cambiato, ho sviluppato altre idee.
 
Due libri eccentrici: Eroi normali e La legge dei padri
Io mi vedo come un romanziere. In alcuni casi concepisco dei noir classici, in altri prendo strade diverse. Dipende da quello che sento. E devo aggiungere che i lettori si sono identificati in modo più intenso proprio con quei libri che sono considerati eccentrici o estranei alla mia narrativa.
Inoltre, Eroi normali e La legge dei padri sono due romanzi collegati tra loro perché si riferiscono a epoche – la Seconda Guerra Mondiale e il ’68 – che hanno fortemente condizionato la mia generazione.
Eroi normali rappresenta lo sforzo di capire e accettare quel genitore che ho sempre cercato sino in fondo. I fatti del libro sono esperienze di guerra prese in prestito da mio padre.
Il mio sguardo sul mondo nasce per forza di cose dalla prospettiva dei miei genitori, per questo affermo che la seconda guerra mondiale è un evento centrale per la mia generazione. È innegabile che chi ha combattuto in quella guerra sia stato sempre riluttante nel parlarne. Tuttavia in quel silenzio era contenuto un potente messaggio: la retorica della guerra occulta la realtà profonda di un massacro insensato che non è possibile in alcun modo redimere con delle celebrazioni e dei racconti.
Non credo, allora, sia un caso che la mia generazione abbia contestato e si sia opposta in modo radicale alla guerra del Vietnam. E mio padre in questo mi sosteneva pienamente perché non accettava l’idea di mandare un figlio a morire per una causa insensata.
 
L’11 settembre e il mio prossimo libro
Gli attentati alle Twin Towers hanno ampliato la gamma di domande che i cittadini statunitensi si ponevano prima che tutto ciò accadesse. L’11 settembre ha reso più complessa la realtà. Quale relazione c’è tra i nostri valori e la paura? Cosa siamo disposti a concedere per vivere sicuri? Uno scrittore di fronte a temi così complessi è in difficoltà.
Per quanto mi riguarda ho dovuto aspettare un po’ prima di essere sicuro di affrontare i temi imposti dal nostro presente. Ora posso dire che il mio prossimo romanzo si riferirà alla giustizia internazionale, ma evitando di fare un comizio.
Un autore deve scrivere storie di individui e non saggi politici o teorici su concetti come quelli della giustizia.
link
Chi ha ucciso la giustizia?