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La velocità della luce |
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08/12/2007 |
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E venne il giorno del film italiano in concorso, La velocità della luce di Andrea Papini. Storia con tre personaggi e due automobili che si inseguono. Storia di verità e menzogne, di cacciatori e prede che si scambiano i ruoli continuamente fino all’epilogo dal quale non si torna più indietro, il limite oltre il quale non si può andare. E a questo proposito Papini, accompagnato dall’attore Peppino Mazzotta, e dai produttori Sandro Frezza, Sergio Bernardi e Ferdinando Vicentini Orgnani, ha spiegato che “per la scelta del titolo sono trascorse intere settimane prima che si prendesse una decisione. Il titolo di un film deve essere accattivante, deve colpire, ma deve anche cogliere sinteticamente il senso del film. Alla fine abbiamo optato per La velocità della luce, perché in un certo senso indica un vincolo, un limite che per nessuno dei personaggi è possibile oltrepassare”. Una storia di ipnosi con Patrick Bauchau che interpreta il ruolo di un subdolo incantatore, e con un uomo e una donna che da cacciatori si ritrovano improvvisamente nel cesto di un serpente ad alzarsi al comando di un piffero. Una storia che richiama al western, suggerisce Papini nelle sue note di regia: “Le mie prime esperienze cinematografiche si sono formate in mezzo alle sparatorie dei western italiani di serie b a cavallo degli anni sessanta, film che per me erano bellissimi (…) durante i quali due uomini si sfidavano senza sapere perché: uno più giovane, l’allievo, e un altro più anziano, il maestro. Ogni tanto, però, tra cavalcate e sparatorie c’erano sempre quelle strane scene, ce ne era una in ogni film, durante le quali un uomo e una donna si abbracciavano e io non capivo perché, e soprattutto cosa c’entrassero. Forse nasce da questo personale vissuto infantile la struttura immaginifica di questo piccolo film ambizioso”. Tre personaggi che dialogano quasi che fossero in una sorta di seduta psicanalitica. E dunque con i dialoghi a farla da padrone come fa notare Peppino Mazzotta: “Il corpo era relativamente annullato, bisognava perciò lavorare molto sulla voce e gli occhi, quasi che si trattasse di un opera teatrale”.
Un linguaggio che non prevede alcuna inflessione dialettale, neutro, per un racconto che procede sottotraccia. “La velocità della luce – conclude Papini nelle sue note – è strutturato in molteplici livelli ma nella messa in scena ci si è preoccupati di dare coerenza agli avvenimenti in modo da non disorientare lo spettatore che deve potersi identificare in un ambiente a lui noto come può essere quello che si incontra in occasione di un (apparentemente banale) viaggio autostradale, con le sue tappe, i suoi riti e i personaggi che ogni giorno ci lavorano, ai quali si è voluto rendere un piccolo omaggio. Con lo sceneggiatore Gualtiero Rosella si è pensato che questo tipo di migrazione moderna, intermittente, potesse essere un comodo contenitore di un racconto su alcune inquietudini contemporanee. L’obbiettivo era quello di ipnotizzare lo spettatore con un complesso lavoro sulle luci e sulle voci degli attori, consentendo in questo modo di veicolare di nascosto informazioni e temi più complessi”.
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