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  Come si trasmette una tensione?  
 
 07/12/2007 
“Ci sono film che escono dal nulla e si producono nel modo più insolito possibile”, così esordisce l’attore argentino Arturo Goetz indiscusso protagonista di El Asaltante, in concorso a Courmayeur.
La storia di questa pellicola parte certamente da una situazione particolare: è un’opera prima realizzata quando il regista Pablo Fendrik stava preparando quella che doveva essere in realtà la sua vera opera prima. “Pablo è un tipo con tanto talento – continua l’attore –, è un regista valido che arriverà lontano. Mi ha chiamato dopo aver visto il mio ruolo in Derecho de familia, di Daniel Burman. Lui stava cercando finanziamenti e cast per realizzare La Sangre Brota, quella che doveva essere la sua opera prima. Mi ha passato il copione, mi è piaciuto tantissimo e ho accettato. Poi un giorno ho ricevuto una sua telefonata e mi ha detto: «ci sono alcuni problemi con il film, dobbiamo rimandare le riprese. Ma hai letto nelle pagina di cronaca quello che è successo? Quell’uomo che ha rapinato tre scuole». E da lì ha iniziato a parlare di El Asaltante”.
Come racconta Goetz, il progetto è nato nel momento stesso nel quale si realizzava. Non c’era una sceneggiatura né battute da memorizzare, soltanto un trattamento di tre pagine dove si descrivevano le scene: “Il modo di lavorare è stato più teatrale che cinematografico. Gli attori hanno provato le scene tante volte, e le abbiamo definite piano piano, improvvisando ogni volta sulla situazione. In un film dove ci sono piani sequenze di otto minuti, lavorare sulla capacità di improvvisazione diventa essenziale”.
Fatto sta che la tensione che deve arrivare allo spettatore, e arriva eccome. L’ansia di El Asaltante viene motivata, non soltanto delle scelte di regia (piani stretti, macchina a mano…) ma anche da una recitazione non recitata (e forse dalle scene rubate per strada e in altri luoghi dove si aggira il protagonista).
“Per un attore, quando si lavora così, la sfida è doppia – segnala Goetz –. Del protagonista non sappiamo niente, né chi è, né da dove viene; non sappiamo che faceva un’ora prima; cogliamo soltanto il suo nervosismo, l’irrequietezza generata dalle situazioni che si susseguono di momento in momento. I piani scelti sono molto stretti, quindi ogni singolo dettaglio del viso, ogni ruga, ogni sfumatura, diventa importantissima per dare un valore alla storia”.
Un valore di cui il regista non vuole parlare molto, ma Arturo Goetz sì: “nel film si può leggere una critica sociale non soltanto riferita all’Argentina, ma a tutto il mondo. C’è un discorso sul mantenimento di uno status di classe. Ma non c’è morale. Questa l’abbiamo lasciato a voi”.
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EL ASALTANTE