Alice e Marlowe
«Innanzitutto penso a questi due personaggi perché mi piacciono entrambi. Ma ovviamente questo non basta. Li ho letti che avevo dodici anni e dentro di me sono rimasti insieme per sempre. Sia Alice che Philip Marlowe cercano un senso in un mondo che non ne ha. Cercano un ordine nel caos. E poi Raymond Chandler e Lewis Carroll sono due geni del linguaggio. I loro personaggi costruiscono mondi con la lingua».
La maschera
«La protagonista de Il detective selvaggio è una specie di Alice o di Marlowe, che finisce nella tana del coniglio rappresentata da questa nuova frontiera americana, e scopre persone che vivono in modo diverso, in una specie di mondo utopico diviso a metà tra il western e gli anni Sessanta, in uno spazio nel quale uomini e donne sono divisi. Si tratta di un'allegoria di un mondo disastrato, frantumato. E nel 2016 quando è stato eletto Donald Trump è caduta la maschera, abbiamo visto quello che era già sotto i nostri occhi».
Il romanzo
«Il romanzo come forma d'arte è posto su un piedistallo, ma quando è nato non era considerato allo stesso livello della poesia. Il romanzo si interessava ai desideri umani, raccontava le persone comuni, lasciava entrare nell'arte ciò che si poteva considerare popolare. Grandi creatori come Cervantes e Dickens hanno trasmesso le immagini della vita quotidiana, non aspiravano certamente a una purezza. Nel dopoguerra, autori come Thomas Pynchon e Raymond Chandler hanno introdotto nuove voci che provenivano dal mondo reale. Di seguito, a rendere la letteratura qualcosa di vivo, sono arrivati anche il cinema e altro ancora. Io a mio modo ho partecipato a tutto questo mettendo le cose che amo, i fumetti, la fantascienza, il rock&roll. Non l'ho fatto di proposito, seguendo un piano. È qualcosa che non ho deciso, è stata la mia risposta al mondo contemporaneo».
I libri negli scaffali
«Da giovane lavoravo in una libreria dell'usato e notavo che i libri popolari, quelli di autori più noti, ovviamente si vendevano rapidamente, mentre altri rimanevano negli scaffali. Ecco, io ero affascinato proprio da quei volumi, da quelli che non voleva nessuno. Libri che successivamente sono stati rivalutati».
La memoria
«Quando ero giovane pensavo di poter ricordare tutto e che non avrei perso nulla. Incontravo persone che invece dimenticavano le cose e credevo che questo scordare corrispondesse a una specie di cospirazione. Reagivo con rabbia. Mi sentivo tradito, vedevo il mondo che scivolava via. Solo in seguito ho capito che anche io dimenticavo e sono diventato più compassionevole. Naturalmente la posta è molto alta quando si fa riferimento alla memoria perché il mondo lo costruiamo anche attraverso il ricordo. La realtà dipende da quanto, collettivamente, riusciamo a prestare attenzione».
La perdita
«Mia madre si è ammalata quando ero un ragazzino ed è morta che avevo quattordici anni. Ma da sempre ho avuto questo sentimento di perdita, quest'apprensione. E la morte di mia madre in un certo senso mi ha dato delle conferme. All'epoca, negli anni Settanta, vivevo a New York, una città che aveva un grande passato ma che in quel momento viveva un profondo stato di decadenza. Il quartiere dove vivevamo era devastato. I miei genitori facevano parte della cosiddetta contro-cultura, avevano creduto in un futuro migliore, ma quel sogno era svanito, era stato eletto Ronald Reagan. E sempre rispetto al tema della perdita, in famiglia da parte di mia madre, era stata vissuta la tragedia dell'Olocausto. La mia bisnonna da cantante d'opera si ritrovò in un istituto per poveri a New York. La perdita, insomma, ha sempre fatto parte della mia vita e delle mie riflessioni».