Sarà in sei episodi Esterno, notte la prima serie di Marco Bellocchio («e forse anche l’ultima») che torna, dopo Buongiorno, notte a riflettere sulle vicende legate ad Aldo Moro. «Una questione che mi ha colpito molto», racconta il regista in occasione della laurea honoris causa in Televisione, cinema e New media consegnategli allo IULM.
«Una certa sinistra era contraria, lo odiava proprio, me ne accorsi dopo aver fatto il film, ad alcuni piacque ma altri videro il film con grande odio, non verso di me ma proprio verso il film e Moro». Nella serie, rivela Bellocchio, ci sarà un interessante ribaltamento di campo, in cui la prigionia è vista dall’esterno, e ci saranno sia fatti e personaggi veri che di fantasia: «Mi piace il ribaltamento di campo, siamo stati dentro la prigione e ora stiamo cercando di uscire, in controcampo, di stare all’esterno scandagliando, in ogni episodio, alcuni dei personaggi legati a Moro. Mi affascina molto il personaggio di Francesco Cossiga, che è sempre stato poco affrontato, la sua carriera l’ha fatta per Moro che gli aveva dato il suo primo incarico e poi si trovò a gestire qualcosa che lo angoscia realmente. Poi, in seguito, fece una carriera straordinaria. Anche il papa Paolo VI mi affascina, era molto amico di Moro e cercò in tutte le maniere di liberarlo, anche preparando un riscatto di molti miliardi. Ma i brigatisti, che altre volte avevano accettato del denaro, nel caso di Moro volevano altro. Un ulteriore episodio è dedicato ai brigatisti esterni, uno alla famiglia e infine, nel sesto, verrà mostrata la conclusione tragica che tutti sappiamo».
Marco Bellocchio, ripercorrendo i suoi trascorsi scolastici e gli inizi della sua carriera: «Prima di questa laurea mi sono diplomato nel 1962 al Centro Sperimentale di Cinematografia, in regia, con venticinque su trenta, a conferma della mia mediocrità scolastica. Ero entrato come attore, poi durante un’esercitazione rivolta agli allievi di regia, che non parevano in realtà molto interessati, feci una proposta di un cambio di immagine e il professore la accettò. Capii allora che in quel modo potevo trasmettere la mia visione personale e lasciai la recitazione tentando la regia, e questo fu un altro ribaltamento di campo. Girai poi I pugni in tasca ed ebbi paura delle immagini che avevo girato, erano particolarmente belle e avevo timore di rovinarle con il montaggio, che affidai a un mio amico. Poi ho imparato a controllare la paura, ma ancora oggi durante le riprese ho timore di perdermi nelle immagini».
Rispetto a Gli occhi, la bocca, tra le immagini di film mostrate in aula: «Da un paio di anni stiamo lavorando a L’urlo, una rappresentazione di quella tragedia più personale, perché ne Gli occhi, la bocca non ero sufficientemente libero, e Lou Castel in realtà non era adatto a interpretarlo. Un artista deve essere libero, e io non lo ero, o non mi ci sentivo, e questo film per me rappresenta proprio il senso di limitazione». Parlando di termini da cui si sente ben rappresentato sono le parole immagine, ironia e utopia quelle che il maestro sente più appartenergli: «L’ironia mi è naturale, anche in situazioni tragiche il registro grottesco mi appartiene. Così come l’utopia è stata ed è molto importante nella mia vita, non tanto come aspirazioni di rivolte, che non sarebbero concepibili, ma come obbligo a non rassegnarmi. Partire da un'immagine è la cosa che mi dà lo scatto, quando abbiamo fatto Bella addormentata sono stato mosso dall’indignazione per la grande recita del parlamento in cui una maggioranza voleva bloccare la legge, e dalla mia grande ammirazione per Peppino Englaro. Poi però per fare il film ho cercato delle immagini; è l’immagine che mi spinge a una decisione più che il messaggio, con tutto il rispetto per il messaggio».
Prima della consegna della laurea, avvenuta per mani del rettore dello IULM Gianni Canova, un video con i saluti e gli auguri di colleghi e interpreti, tra cui Maya Sansa («ti sono eternamente grata, ti stimo e ti abbraccio forte») e Toni Servillo, che sottolinea: «Tutte le volte che si spegne la luce in sala e sto per guardare un film di Bellocchio, so che assisterò a qualcosa che turba profondamente, risultato di accostamenti visivi che io non avrei mai immaginato di mettere insieme. Questo è il valore dell’artista. Molte delle sue immagini hanno il valore traumatico di quando si assiste a una scena primaria».
Ma anche di Marco Tullio Giordana, che rimarca come il cinema maestro sia sempre giovane, adolescente, con la stessa rabbia e volontà di graffiare del suo primo film, dedicandogli Epigramma di Eugenio Montale: «Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versi colori carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia mobile d’un rigagno; vedile andarsene fuori. Sii preveggente per lui, tu galantuomo che passi: col tuo bastone raggiungi la delicata flottiglia, che non si perda; guidala a un porticello di sassi».