Un esordiente alla regia Igort - nome d’arte di Igor Tuveri, uno dei più grandi fumettisti italiani già anche sceneggiatore per il cinema (Accabadora, Last Summer) - anticipa al Noir in Festival le prime immagini dell’attesa opera prima 5 è il numero perfetto, tratta dalla sua omonima graphic novel di successo, la cui prima edizione vide la luce nel 2002 ad opera della casa editrice Phoenix, oggi chiusa. Una co-produzione Italia, Belgio, Francia che sarà distribuita da 01, "teoricamente dal 16 maggio", con Toni Servillo, Valeria Golino e Carlo Buccirosso tra gli interpreti.
Inevitabile la curiosità sul perché un affermato artista decida di passare dal bidimensionale del fumetto al tridimensionale del cinema: «Sono un uomo curioso di natura, parlo tante lingue, mi piace entrare nelle culture altrui - rimarca -. Il mio è da sempre un lavoro di contaminazione continua. Del resto chi lavora con i linguaggi - scrittura, musica o fumetto che sia - sa che è un sistema di vasi continui in cui fondamentalmente si cercano due cose, profondità e ritmo. Nel leggere un libro o guardare un film da spettatori cerchiamo sempre solo uno sguardo sul mondo, quell’elemento indicibile che entra dentro e smuove emozioni. Per me il regista è semplicemente questo, colui che ha uno sguardo».
Non ci sono, a sorpresa, nella pellicola incursioni dirette dal mondo del fumetto o parti illustrate a matita da Igort: «All’inizio c’era stata l’idea di disegnare i due sogni che ci sono nel film con uno stile cartoon. Ma poi ho tagliato del tutto le animazioni, volevo fare qualcosa che rispettasse i classici crismi del film drammatico e comico».
Il racconto è un piccolo affresco napoletano nell’Italia anni Settanta, come lo definisce il regista che rivela di essersi più volte emozionato sul set al punto da piangere per l’intensità emotiva che le immagini gli trasmettevano. Protagonista è un killer di professione in pensione, Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) che si occupa oramai solo di pesca e del figlio Nino, killer anche lui. Ma nella sua ultima missione Nino cade, vittima di un agguato, assassinato dall’uomo che era andato a uccidere. Qualcuno ha tradito e Peppino torna alla sua vita precedente per vendicarsi, perché «il sangue chiama sangue, e questa è la regola».
Un libro dalla lunga gestazione 5 è il numero perfetto, iniziato in Giappone, a Tokyo, «perché quando sei distante riesci a vedere il panorama nel suo insieme», rivela il regista che spiega di aver cominciato a scrivere all’improvviso, dividendo il racconto per stanze, in maniera teatrale, come fa di solito. Quasi naturale, poi, il passaggio al grande schermo: «È stato il cinema che, in realtà, si è interessato al libro che negli anni ha avuto dodici o tredici richieste di opzione, nessuna poi andata veramente in porto. All’inizio ci ha lavorato anche Marco Müller, che ebbe un’intuizione nel paragonare il modo in cui compongo le inquadrature al cinema asiatico, di cui effettivamente sono un grande fan. Ebbe questa idea pazza di far dirigere il film a me e Johnnie To, che non conoscevo quando ho scritto il fumetto ma che effettivamente gira proprio come io disegno. Poi ci sono state varie vicissitudini, le opzioni sono scadute, mentre altre volte ho ricevuto proposte da parte di registi che mi sembrava volessero snaturare l'opera. Così alla fine ho deciso di girare io il film».
Quella che si vede dalle prime immagini è una Napoli noir e metafisica, piovosa, con la nebbia e gli spari e le atmosfere a metà tra Tarantino e Johnnie To. «Per me c’è più vicinanza tra Napoli e Hong Kong che tra Napoli e qualsiasi altro posto del mondo. Penso che ci siano vari i punti di unione, non solo nell’aspetto ma anche nel rapporto con il magico - sottolinea il regista -. Dietro alle pistolettate, ai dialoghi con la Madonna, alla perdita del figlio, c’è il ritorno alla vita di un uomo che crede di aver già vissuto, di avere avuto tutte le risposte. Ma si accorge che non aveva capito niente, e per questo il film è la storia di una rinascita ma anche una storia sulla memoria, sul tramandare una visione secondo certi codici, nel momento in cui proprio quei codici sono al crepuscolo e la camorra è diventata una criminalità dai colletti bianchi».
A dirigere la fotografia Nicolai Brüel (Dogman): «Cercavo un direttore della fotografia che avesse una cultura pittorica, per me il lavoro sull’immagine e sui dettagli è fondamentale. Volevo trasmettere una Napoli distrutta ma pittoricamente potente, non nello stile neorealistico di Gomorra. Di Nicolai mi ha colpito il coraggio: per convincermi mi ha mandato suggestioni che andavano ben oltre le reference che gli avevo inviato io, rischiando un mio rifiuto. Ma in quelle immagini c’era una potenza impressionante in cui ho visto la grandissima sintonia che poi è stata confermata sul set, al punto che Nicolai oggi lo considero mio fratello».
Riguardo alla scelta e al lavoro con Toni Servillo: «Ho sempre pensato a lui - conferma - anche quando cercavano di suggerirmi nomi internazionali. Toni sul set è una persona molto dura ed esigente, ma anche professionale. Inizialmente mi ha chiesto il perché non avessi scelto il direttore della fotografia di Sorrentino con cui era abituato a lavorare. Ma poi appena ha visto le prime scene di Nicolai ha capito, ed è andato ad abbracciarlo. Chi è onesto intellettualmente comprende, e lui lo è».