Guerra Fredda, Black Panthers, controcultura degli anni Sessanta, rivoluzione cubana: un cartoon esplosivo e politico, con incursioni di personaggi chiave come Andy Warhol, Jimi Hendrix, Malcolm X e Che Guevara, arriva in Concorso al Noir in Fest a confermare la vitalità del cinema basco,
Black Is Beltza di
Fermín Muguruza - artista poliedrico e musicista che fonde ska, punk e reggae - che traccia una storia intrigante in cui combina finzione e realtà per parlare di amore, libertà sessuale, rivoluzione e spionaggio, vissuti in un momento fondamentale della storia, quello della fine degli anni Sessanta, in cui tanti sono stati i mutamenti storici e culturali.
Ispirato all’omonima graphic novel scritta insieme a Harkaitz Cano, che ha accompagnato il film al festival, Black Is Beltza si basa su una storia vera, documentata dai giornali dell’epoca: nel 1965 i tipici pupazzi giganti che si vedono sulle strade di Pamplona durante le feste di San Firmino vennero invitati a sfilare a New York sulla Quinta strada. Non a tutti però fu permesso di esibirsi: a causa della discriminazione razziale, le autorità americane vietarono i giganti neri nella parata. A partire da questo fatto storico il film - con belle animazioni in 2D che richiamano alla memoria Valzer con Bashir e citano apertamente alcune scene animate di Kill Bill - racconta la storia di Manex, uno dei giovani incaricati di trasportare i giganti che, deluso dalla decisione dei colleghi di rispettare l'ordine ricevuto, finita la parata decide di non tornare a casa e rimanere nella New York in subbuglio che nel frattempo l'ha affascinato.
Inizia così per lui un lungo e inaspettato viaggio, che è anche un percorso iniziatico verso la consapevolezza storica, che gli permetterà di osservare da vicino molti degli eventi cruciali che hanno segnato la società della metà degli anni Sessanta: Harlem e le rivolte razziali scatenate dall’assassinio di Malcolm X; Madrid sotto la dittatura di Franco; l’alleanza tra i servizi segreti cubani e le statunitensi pantere nere, uno dei movimenti che la rivoluzione cubana simpatizzava e sosteneva; il Vietnam e i primi festival di musica hippy conditi da droghe psichedeliche; i complotti della CIA e del KGB e i giochi d’interesse delle spie da entrambe le parti durante la guerra fredda.
Dopo aver trascorso alcuni anni a Cuba, a Manex viene affidata una missione speciale: prelevare dagli Stati Uniti una Black Panther che è in pericolo e portarla all’Avana. Anche questo fatto è ispirato a racconti storici, come rivela il regista: «Durante una delle mie visite a Cuba ho sentito la storia di una missione segreta, una delle tante raccontate dai suoi protagonisti, che parlava di come lavoravano e i servizi segreti della divisione di intelligence cubana alla fine degli anni Sessanta e durante la Guerra Fredda. Mi è stato raccontato di un viaggio bizzarro sotto copertura per sostenere uno dei movimenti appoggiati dai rivoluzionari, le pantere nere, e salvare un militante afroamericano: gli agenti dovevano entrare attraverso il Messico, prendere contatto negli Stati Uniti con il militante in questione e portarlo a Cuba, dove gli sarebbe stato conferito lo status di rifugiato politico».
Su tutto la musica, che del film è superba e potente colonna portante, capace di trasportare nel tempo e nello spazio: Cuba e le sue sonorità, le Velvelettes degli anni Sessanta e la contemporanea rapper francese Ana Tijoux, Manu Chao, i ritmi della cumbia peruviana che rivivono nelle note di Sonido Gallo Negro, ma anche The Velvet Underground e Otis Redding con la sua iconica Respect.