di Isabella Weber
Nell’arco di sei giorni il Noir in Festival ha ospitato più di quindici scrittori di romanzi a tinte più o meno nere. Prima a Milano, alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e poi al Teatro sociale di Como, gli autori hanno incontrato i lettori e si sono confrontati sul proprio rapporto con il crimine, la paura e il genere.
Ad aprire il ciclo delle conversazioni sono stati Carlo Lucarelli (Intrigo Italiano) e lo psichiatra e scrittore Massimo Picozzi (Mente criminale) che da anni collaborano insieme. Con la direttrice del festival Marina Fabbri, Lucarelli e Picozzi si sono interrogati sul ruolo etico dell’autore che si confronta con il pubblico, anche su fatti di cronaca e mafia, facendo leva sulla paura. «La paura può essere utilizzata come puro effetto speciale - spiega Lucarelli -, e in quel caso si rischia di esaltare il modello criminale; altrimenti può diventare uno strumento di conoscenza, per comprendere meglio l’oggetto della propria paura ed è questo quello che cerchiamo di fare. Con il pubblico televisivo sono molto attento alle parole che utilizzo perché so che mi confronto con una fruizione veloce e distratta ma nei romanzi è diverso: non credo che il ruolo dello scrittore sia quello di offrire un manuale di lettura».
Confrontandosi con realtà criminali, in quanto esperto di profiling, Picozzi ha un accesso privilegiato ai dossier giudiziari e osserva quanto gli atti legali dei casi spesso non riescano a rendere conto delle complessità in gioco: «I casi di cronaca famosi diventano dei baracconi in cui gli avvocati difensori sono molto più interessati alla notorietà per i loro studi che ai propri assistiti, senza parlare del circo di sedicenti esperti coinvolti. Per fortuna, anche grazie a Carlo, scrivendo i libri ho la possibilità di uscire da questi casi ricostruendoli e inserendo quell’approfondimento etico che spesso manca nei processi».
Bernard Minier, sollecitato a Como dalle domande di Sebastiano Triulzi, nel suo ultimo romanzo (Non spegnere la luce) affronta il tema del doppio attraverso la storia di una donna vittima di stalking: «Credo che l’empatia sia più efficace del ragionamento. Per questo motivo, sin dal titolo in seconda persona, mi rivolgo al lettore nella maniera più diretta possibile, tentando di far passare le mie idee e visioni del mondo attraverso le emozioni».
Il tema della violenza sulle donne torna nel romanzo di Antonella Lattanzi (Una storia nera) che racconta della misteriosa scomparsa di uomo patologicamente geloso di sua moglie ad anni dalla loro separazione. «Mi piace raccontare la paura, come tutti i sentimenti forti, ma preferisco tentare di evocarla piuttosto che sottolinearla. Credo sia utile lasciare i personaggi un attimo prima del loro climax emotivo, consentendo così ai lettori di riempire gli spazi bianchi con le proprie emozioni».
Intervistata da Annarita Briganti insieme a Lattanzi, Paola Barbato (Non ti faccio niente) riflette sul rapporto asimmetrico tra cause ed effetti e intenzioni e azioni. Il protagonista del suo ultimo romanzo è mosso a modo suo da buone intenzioni: rapisce bambini per un periodo limitato di tre giorni per educare i loro genitori. È solo quando un assassino si mette sulle tracce di quegli stessi bambini da lui rapiti anni prima che il protagonista è costretto a confrontarsi con le impreviste conseguenze delle proprie azioni. «La paura è forse il sentimento che conosco meglio: ho sempre avuto paura di tutto. E trovo che sia fondamentale perché è forse l’unica vera forma istintuale rimasta. Quando scrivo, però, metto da parte la mia vita personale, non avrei mai potuto pensare alle mie figlie scrivendo di bambini rapiti».
Proprio la paura è stata il filo rosso che ha guidato l’ultimo incontro letterario del Noir in Festival. Simona Vinci (Parla, mia paura) e il finalista del premio Scerbanenco Marcello Fois (Del dirsi addio) si sono confrontati insieme a Sebastiano Triulzi sul modo in cui utilizzano la paura nei propri romanzi e su cosa la scateni dentro di loro. La paura più grande di Fois? I cretini: «Credo che abbiamo paura di ciò che ci fa sentire impotenti, e io mi sento impotente davanti ai cretini. Nel mio romanzo però ho attinto a un’altra paura, una fobia che mi ha tormentato per anni quando sono diventato padre: quella di poter perdere i miei figli. Questo è probabilmente ciò che ha reso questo libro così intimo per me e difficile da scrivere».
Nel parlare di paura, Simona Vinci, ci tiene a fare delle distinzioni:«Conosco molto bene la paura avendo sofferto per anni di attacchi di ansia. Per me la paura vera è quell’emozione che provoca una reazione fisica: blocca il respiro, paralizza, aumenta il battito cardiaco, può addirittura farci fare la pipì addosso. È un’emozione potente e per questo motivo può diventare un pericoloso strumento di controllo ma può anche trasformarsi in uno strumento di valutazione, e insegnarci a conoscere meglio noi stessi».
Il video di Cinecittà Luce Magazine
Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi
Bernard Minier
Paola Barbato
Donato Carrisi
Marco Vichi