Come ci comporteremmo se di punto in bianco
l’elettricità, quell’energia che ci ha abituati a godere di comodità
impensabili anche solo un paio di secoli fa, scomparisse dalle nostre
vite? È da questo interrogativo che si dipana l’indagine di Patricia
Rozema, regista canadese che ha condensato questo realistico scenario da
incubo nel film Into the Forest, proiettato al Festival proprio nello stesso giorno in cui le potenze mondiali si sono riunite
in Francia per discutere dei problemi ambientali che affliggono il
pianeta. «Questo tema - ha affermato la Rozema - risveglia in ognuno di
noi quella paura profonda legata alla consapevolezza di quanto sia
fragile il perenne flusso di informazioni cui siamo abituati oggi. Into
the Forest diviene così una sorta di elaborato "memento mori" della
precarietà della nostra dimensione comunicativa».
Una fragilità che è
metaforicamente resa anche dall’abitazione dove si svolgono la maggior
parte delle vicende del film, individuata dalla regista dopo mesi di
ricerche. È una struttura apparentemente solida e ben protetta ma che si
rivela ben presto debole se privata della sua linfa elettrica, e che
evidenzia un altro tema fondamentale del film: «Spesso non ci
accorgiamo - afferma la Rozema - di vivere nella natura ma non della
natura».
Isolate, senza elettricità, avvolte da una foresta
apparentemente ostile, le due protagoniste hanno diverse opzioni davanti
a sé; se i personaggi di The Walking Dead, di cui si è parlato due
giorni fa al festival, cercano disperatamente altri esseri umani, mossi
dalla consapevolezza di poter sopravvivere solo se uniti, nel film della
Rozema l’ancora di salvataggio di Nell e Eva risiede nella potenza del
legame familiare e nella capacità di discernimento individuale: «La
reazione a una situazione di tale emergenza sarebbe
probabilmente quella di chiudersi in un bozzolo; è da questa dimensione
privata che penso possa scaturire una scintilla dalla quale ripartire».
È
questa stessa dimensione intima a essere scandagliata anche da Simon
Pummell, regista inglese che ha presentato al festival Brand New-U,
attualmente impegnato nell’adattamento cinematografico di un racconto
breve di William Gibson, padre del genere del cyberpunk. «Per me il
noir - ha affermato Pummell a proposito della complessità del suo film - è
stato un modo, più intenso rispetto ad altre scelte stilistiche, di
rappresentare la realtà sfruttando la sua intrinseca ambiguità; Brand
New-U, infatti, non propone risposte per ogni domanda. La stessa
complessità la si ritrova nel protagonista, che spinge lo spettatore a
confrontarsi con la possibilità che in una sola vita possano esistere
più variazioni di noi stessi. Più che un mondo distopico ho cercato di
rappresentare un mondo spietato, rifacendomi principalmente a due film,
Operazione diabolica di John Frankenheimer e Vertigo di Alfred
Hitchcock».
Se Into the Forest pone sotto la lente
d’ingrandimento il rapporto tra due sorelle e Brand New-U quello
riflessivo di un uomo all’inseguimento di una donna, in D’Ardennen, film
del belga Robin Pront, al centro della vicenda ci sono due fratelli.
«Ho impiegato tre anni per scrivere la sceneggiatura - racconta il
regista -. Il progetto cambiava continuamente forma, prima road movie, poi
commedia… ma penso che questo sia stato un bene per il film. Uno dei
temi principali di D’Ardennen è l’impossibilità della comunicazione: pur
parlando moltissimo i due fratelli protagonisti non esprimono
praticamente mai i propri sentimenti in modo diretto, aggirando i temi
importanti. E questo, alla lunga, conduce al fallimento di qualsiasi
tentativo di ricostruzione di una dimensione familiare».
Tre
registi, tre film, tre modi diversi di interpretare la comunicazione in
una società fatta di individui che, nonostante una rete di connessioni
sempre più ampia e ramificata, faticano a ritrovare un canale di
comunicazione immediato con il prossimo e con se stessi, sommersi da una
paralizzante cacofonia di input e informazioni.