XXV edizione
8/13 Dicembre 2015

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Notte italiana
di Marina Fabbri

Nella sua appassionata ricostruzione della complessa vicenda dell’omicidio Pasolini, il regista e scrittore David Grieco ripercorre nei dettagli tutte le tracce che legano incredibilmente tra loro fatti di sangue e protagonisti della storia politica e criminale del nostro paese dagli anni Sessanta a oggi. Pasolini, e la sua eliminazione, stanno al centro di un intrico di eventi, tutti nerissimi, che vanno dall’attentato a Mattei alla conseguente scomparsa di De Mauro, dalle bombe della strategia della tensione all'eversione di destra e di sinistra. Una trama oscura che poi continua dopo la morte del poeta, scomodo indagatore dei misteri d’Italia.

Nel libro di Grieco si segue infatti l’assassino, quel Pelosi diventato vecchio a cambiar versione a seconda del vento, e lo si ritrova compagno di antichi testimoni del delitto Pasolini, abitanti delle baracche all’Idroscalo di Ostia. Lo si ritrova al lavoro nella fatidica - quarant’anni dopo la morte di PPP - cooperativa 29 giugno, quella di Buzzi e Carminati, il Samurai di Suburra, il romanzo di Bonini-De Cataldo che racconta la mafia di Ostia, il luogo deputato di questa tragedia che si trascina da quel 2 novembre 1975 fino a oggi.

Ostia regno delle baracche e degli abusivi, degli zingari strozzini e dei mafiosi spacciatori che arrivano fino alla politica romana. Ostia che viene "liberata" dalle ruspe di Marino che vuole ridare il litorale alla legalità. Ostia che ha visto chi ha ammazzato Pasolini e non ha parlato. A Ostia, sul campetto del massacro, c’era anche Maurizio Abbatino, personaggio allora in ascesa ai vertici della Banda della Magliana. Lo stesso che frequenta il bar di Ubaldo De Angelis, altro testimone dell’omicidio Pasolini. Per non parlare di Catania e del ruolo giocato dalla mafia, comprimario almeno quanto quello dei neofascisti in tanti delitti politici del nostro paese dal dopoguerra a oggi.

Scrive Pasolini nel suo editoriale Il vuoto del potere in Italia, apparso sul «Corriere della Sera» il primo febbraio 1975: «Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana l’avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione».

Una riflessione ritenuta giustamente profetica oggi, mentre siamo arrivati al fosco culmine di quel processo di destrutturazione identitaria innescato dalla globalizzazione e che segue soltanto le regole del profitto. Forse la guerra in cui siamo immersi oggi, sempre più totale, sempre più confusa, nasce proprio dalla reazione feroce a quella perdita di identità, da una disperata ricerca di appartenenza, ieri ideologica oggi per lo più di marca religiosa, che possa salvare dal nichilismo del nostro tempo attuale o anche, peggio, consolare dalla perdita dei diritti e del benessere di tanta, troppa parte della popolazione del pianeta.

Per restare nell’ambito più ristretto della nostra "società incivile", un altro scrittore, Carlo Lucarelli, arriva a profferire una sentenza anche più cruda, e però singolarmente coincidente con la profezia di Pasolini, certamente un maestro per lui come per tanti scrittori italiani: «I morti parlano - scrive nel suo ultimo libro sul delitto Pasolini. […] Schiacciati su un campetto da calcio con il naso piegato da una parte, i morti parlano sempre. Dicono: silenzio». Noi invece di quel silenzio vorremmo parlare.