di Marina Fabbri
Dunque Carlo Lucarelli, parliamo di giallo e di noir. Partirei da un
articolo di Umberto Eco che quest'estate sull'«Espresso» è tornato sulla vecchia
distinzione tra le due sfumature concludendo che, se ho ben capito, oggi gli
editori danno ai gialli l'etichetta di noir per renderli più appetibili per i
lettori. Insomma, sotto un noir non c'è altro che il vecchio giallo. A me
sembra che molti scrittori di genere, tra cui forse anche tu con il tuo ultimo
romanzo, abbiano "riscoperto" in qualche modo la solidità del giallo,
attenuando certe frenesie che negli ultimi decenni hanno caratterizzato il
noir. Volevo sapere se sei d'accordo.
Non
saprei, direi fino a un certo punto. Penso però che oggi non sia più possibile
scrivere gialli come si faceva una volta. Perché è cambiato il mondo. Perché
nonostante quello che dicono tutti il giallo è una forma di letteratura che
risponde agli stimoli del mondo, come tutte le forme di letteratura e di
narrativa, e quindi cambia a seconda di quanto cambia il mondo. Per cui quando
si dice il giallo, di solito si intende il giallo classico, la stagione d'oro
del giallo, si parla delle venti regole di Van Dine, eccetera. Ma quello che
noi continuiamo a chiamare giallo è il risultato di un'evoluzione avvenuta all'interno
di quel sistema di regole e che risponde ogni volta allo spirito dei tempi,
ogni volta è una rivoluzione. Già un giallo di Agatha Christie è diverso da uno
di Rex Stout, anche se a prima vista sembrano essere simili. Si trattas empre
di una forma di narrazione che risponde allo spirito del tempo e anche allo
spirito del luogo, per cui i gialli inglesi di Agatha Christie o di altri
britannici sono diversi dai gialli classici degli americani, e dai gialli
classici scritti da noi. Non so, considero Augusto De Angelis molto diverso da
Agatha Christie per esempio, eppure noi consideriamo De Angelis un autore di
gialli classici. Così quello che noi chiamavamo giallo si è evoluto adesso in
una cosa che noi chiamiamo noir, ma è solo un altro modo di raccontare una
storia misteriosa rispondendo allo spirito del tempo e del luogo, che allora
era un po' più quadrato mentre adesso è un po' più confuso. E per questo quando
uno scrittore come me a un certo punto ha voglia di scrivere una storia come Albergo
Italia, che per una serie di motivi vuole avvicinarsi di più al giallo
classico, non può farlo naturalmente. Perché in questo libro io mi invento una
storia da "delitto della camera chiusa": un uomo ritrovato impiccato
dentro un albergo, durante l'inaugurazione, mentre fuori c'è una grandinata e
tutti sono costretti a stare dentro. Il tipico giallo, insomma. Non è entrato
nessuno da fuori e l'assassino deve essere per forza in quella ristretta
cerchia di persone che sono attorno a quella camera. Poi ci sono due
investigatori alla Sherlock Holmes che deducono dagli indizi trovati sul luogo
che cosa può essere successo: più classico di così non si può. Però io scrivo
in un contesto diverso, ci sono i miei italiani e i miei italiani sono dei
grandi intrallazzoni ed ecco che subito entrano in gioco la politica, la
società, il colonialismo, il razzismo, e chi più ne ha più ne metta. E cosa
diventa allora? Diventa quello che noi chiamiamo un noir. La struttura si apre
per forza e non possiamo più restare legati a quelle quattro camere e cercare
solo le impronte digitali o le impronte dei passi, ma dobbiamo parlare in
maniera più estesa della politica economica e dei servizi segreti del periodo,
e tutto diventa per forza un'altra cosa. Ma non è che l'ho fatto perché avevo
deciso scientificamente di usare una struttura piuttosto che un'altra e poi ho
cambiato idea, oppure perché avevo deciso di farlo strumentalmente come dice
Umberto Eco, perché molti fanno così, e lui ha ragione da un certo punto di
vista. Non l'ho fatto perché il mio giallo sembrasse così più raffinato e
venisse letto in modo più interessante e interessato. L'ho fatto perché il mio
modo di vedere le cose di un cittadino italiano contemporaneo è questo, e non
può essere quello di Agatha Christie quando scriveva di Hercule Poirot. Quindi
alla fine questo ritorno al giallo secondo me non è un ritorno al giallo. Per
quanto mi riguarda, a parte continuare con la serie di Albergo Italia,
ho in testa altri romanzi che sono della serie del commissario De Luca, che è
un giallo com'era giallo il commissario De Luca, cioè: c'è un omicidio e si
tratta di scoprire chi è stato ma in realtà ci sono i servizi segreti,la
politica, e altre faccende del genere. Ho in testa un altro romanzo di Grazia
Negro che dà la caccia ad un serial killer, quindi non posso dire che ci sia un
ritorno. Ora, che succede con gli altri miei colleghi? C'è per loro un ritorno
al giallo?Se me lo chiedo, rispondo che, se questo è vero,secondo me deriva da
una serie di considerazioni altre, come la necessità di voler giocare con quel
modello lì. Se mi chiedi se assistiamo a un vero ritorno al giallo razionale
che diventa il nuovo interprete della realtà di oggi, questo non te lo saprei
dire con certezza, ma non credo sia così.
Hai detto bene, il noir rispecchia la realtà di oggi, e come diciamo
sempre questo genere è il romanzo sociale della nostra epoca. Il confine fra
Agatha Christie e Raymond Chandler è appunto questo. Anche se tu dici che
Agatha Christie rispecchiava a suo modo la propria epoca, io direi che
interveniva su di essa in maniera più consolatoria, opponendo una consolazione
razionale al caos della realtà. Lei era uscita dalla prima guerra mondiale e
Chandler aveva i postumi della seconda, però la reazione di Chandler e quindi
del noir che deriva da lui e da Hammett è completamente contraria alla
consolazione, è invece esattamente la perdizione. Un altro aspetto che mi viene
in mente è il personaggio dell'investigatore, che da portatore di ordine
diventa il portatore del caos, la famosa scomparsa del confine fra bene e male,
l'investigatore ubriacone e anche corrotto. E allora, rispetto a queste pietre
miliari dell'analisi sul genere, questa nuova forma di ibridazione tra giallo e
noir, come mi sembrerebbe tu l'abbia definita, che cos'è oggi secondo te?
Non
lo so, questa è la risposta. Non ne ho idea, è un modo nostro di raccontare
storie a seconda degli interrogativi che il mondo o il luogo ci pongono come
dicevo prima. Ma non è solo questo, qui noi parliamo di cose un po' particolari
e secondo me dobbiamo inserire ancora altre varianti. Intanto parliamo di
autori: Agatha Christie è un autrice che non solo racconta un mondo fatto in un
certo modo, ma anche la sua testa è fatta in un certo modo. È una autrice "attrice"
da questo punto di vista: esprime non soltanto lo spirito del periodo, lo
spirito del luogo, ma anche lo spirito suo. Ci sono altri autori, ora non mi
viene in mente un esempio concreto, che nel suo periodo furono più
rivoluzionari, un po' più portatori di caos. Poi lei è quella più famosa,
quella più nota, e quando parliamo del giallo classico pensiamo subito a lei e
che lei sia il frutto di una serie di regole di genere, ma in realtà lei costruisce
un genere a parte con quella che è la sua personalità, come molti altri.
Prima c'era Conan Doyle, no?
Prima
c'era Conan Doyle, ma lui era ben diverso: stiamo parlando di un tizio che era
un po' strano, che faceva spiritismo, che ci propone un investigatore come
Sherlock Holmes che apparentemente ti riporta all'ordine e scopre chi è l'assassino,
ma in realtà è un anarchico totale.
Sì, era anche un drogato in effetti…
Era
un drogato, un po' schizzato, uno che oggi sarebbe considerato uno psicopatico,
un monomaniaco.
Si, ma Conan Doyle lo raccontava mascherandolo, perché l'epoca non lo
permetteva.
Vero,
però in Uno studio in rosso Sherlock Holmes si inietta della droga e lì
potrebbe essere, considerato il periodo, un amico di Oscar Wilde vituperato
dalla società. Certo alcune cose vengono mascherate, ma il nostro Holmes è
talmente fuori dagli schemi! E questo essere così fuori dagli schemi secondo me
riflette l'angoscia del suo autore ed è totalmente diverso da un Hercule
Poirot, che si, è un tizio strano, anche lui è uno psicopatico, monomaniaco, è
pieno di tic strani, ma non mi fa paura. Non vedrei mai Hercule Poirot che
ammazza qualcuno perché è diventato un serial killer, ma potrei vederci
benissimo Sherlock Holmes. Poirot mangia il cioccolato per dire, non si droga.
Poi è vero che l'evoluzione continua: da Raymond Chandler in poi fino a James
Ellroy le cose cambiano. Chandler continuava nei suoi personaggi a essere un
americano che viveva in un certo contesto: davanti al cattivo deve esserci una persona
che cattiva non è, l'eroe senza macchia e senza paura. Cosa che l'evoluzione
successiva, quella post-post seconda guerra mondiale fino ad arrivare a noi è
diventata completamente superflua. Se vogliamo, i problemi di Philip Marlowe
sono che beve un po' troppo, che forse andrebbe con le donne, ma tanto non va
con le clienti, e che è un po' troppo indipendente, un po' mascalzone, una
simpatica canaglia insomma, ma mai e poi mai prenderebbe soldi o ammazzerebbe
la gente su commissione come invece fanno i personaggi di Ellroy, che sono dei
veri portatori del caos.
Un personaggio che nel cinema Abel Ferrara ha iconizzato perfettamente
nell'immagine del cattivo tenente.
Già,
e in televisione è quella di The Shield,
la contraddizione messa in atto. Vic Mackey è quello che in ogni puntata ti risolve il caso, con i suoi metodi salva la
bambina dal pedofilo, e tu sei con Mackey, ma contemporaneamente è un uomo che
sta cercando di non finire in galera perché ha ammazzato della gente, ha rubato
un sacco di soldi. Insomma ci sono varie evoluzioni di questa figura.
Una cosa fondamentale mi sentirei di dirla, questa certezza che avevamo
fin qui del confine netto fra noir, contemporaneo e ribelle, e giallo, paludato
e parruccone si sta perdendo un po'. Uno dei capi saldi di questa differenza
era l'indagine sulle ragioni del male. Il noir prende a ragionare sul male,
mentre il giallo in teoria dovrebbe semplicemente metterlo a posto. Il noir
dovrebbe capire le ragioni dell'assassino, dovrebbe mettersi dentro l'assassino.
Anche questo secondo te non è più così tanto vero?
Anche
qui secondo me dipende dagli autori. Sicuramente è l'evoluzione del genere,
insieme al fatto che appartiene a un tempo che a sua volta si evolve,a portarti
a dover capire le ragioni del male. Per questo il cosiddetto noir rende molto
di più del cosiddetto giallo sulle ragioni del male, anche perché il giallo
molte volte si occupa di un male che è già conosciuto, come l'esempio del tizio
che vuole l'eredità del conte scozzese ucciso nel castello, che è una classica
citazione del giallo più banale di tutti. Quell'individuo lo fa per dei motivi
che appartengono alla storia dell'umanità da sempre: il successo, i soldi, il
sesso ecc. E questo è normale, il tizio ha ucciso perché era innamorato della
moglie del conte, benissimo, non c'è tanto bisogno di analizzare una cosa del
genere, l'hanno già raccontata tutti. Ma ecco che poi Agatha Christie scrive un
libro dal punto di vista dell'assassino,in cui l'assassino parla e dice le sue
ragioni. Maigret lo fa costantemente di entrare dentro le ragioni del male.
In America c'è un autore, Jeffery Deaver, che secondo me coniuga
entrambe le scuole, da una parte affonda le mani dentro al torbidodi un male
fatto di serial killer, che più male di così non potrebbe essere, ma lo fa
guidato da un iper-investigatore, da uno Sherlock Holmes al quadrato come
Lincoln Rhyme.
Assolutamente
d'accordo. Ecco, per questo dicevo che stiamo parlando di un genere che
comprende tutto, che fa risaltare tutte queste differenze, che risponde a
quello che è lo spirito dei tempi, e poi gioca in un campo o nell'altro, ma a
seconda di cosa gli richiede il racconto in quel momento sceglie di utilizzare
un tipo diverso di arrangiamento. Deaver è un autore che fa proprio questo. E
prima di Deaver un altro che lavora analizzando il male è Harris. L'investigatore
alla fine è un criminale, Lecter, e la sua spalla è la poliziotta Clarice
Sterling ed è il loro rapporto che conta nel risolvere i casi.
Lei diventa una sorta di dottor Watson, mentre Sherlock Holmes è
Hannibal Lecter.
Esatto.
Dove Lecter però sa già tutto, e non lo deve scoprire, però te lo dice come se
lo scoprissi tu. È uguale, è lo schema del giallo. Deaver più o meno fa la
stessa operazione. Molte delle riflessioni che sento fare, come quella di Eco
ad esempio, o quelle che sentivo fare tempo fa da altri, come Scalfari,
prendono in considerazione un certo tipo di libri e non tutti gli altri. Da una
parte mi sento di dover dare ragione a Eco quando dice che a mettere l'etichetta
noir a un romanzo che è un normale romanzo del mistero, o giallo, magari anche
vecchio stile, scritto in una maniera un po' così, raffinata, questo diventa
più di moda. Sono d'accordo. Così come ci sono tanti autori nostri che
legittimamente scrivono gialli alla Agatha Christie, uguali identici, come si
scrivevano una volta. Io penso magari che non rispondano alle domande che io mi
faccio riguardo allo spirito del tempo, magari rispondono ad altre domande, le
loro. Oppure non rispondono affatto a nessuna domanda e fanno quello che dice
Eco, o Scalfari, cioè vendono libri, il che è sacrosanto e più che mai
legittimo. Però ce ne sono tanti altri che non fanno così, quindi io non posso
dare ragione a Eco, quando dice che il noir è soltanto un'etichetta, perché non
mi sembra che siano così i romanzi di Carlotto, ad esempio. Non sono così gli
altri romanzi che leggo e spero che non siano così anche i romanzi che scrivo
io. Certe etichette valgono per un certo tipo di libri. Per esempio, esiste un
grandissimo filone di produzione americano-anglosassone in cui il giallo e il
noir sono ancora quelli lì, puro genere codificato. Perché quando leggo i
romanzi che hanno come oggetto i serial killer, spesso leggo dei bei romanzi in
cui il serial killer è una metafora del disagio contemporaneo e questo mi
interessa moltissimo. Contemporaneamente ci sono però tanti alti romanzi in cui
il serial killer è soltanto un espediente tecnico per portare avanti una
storia. Un espediente che è fortissimo, perché quando hai un serial killer hai
la sicurezza di avere suspense e colpi di scena, perché c'è un mostro
misterioso nell'ombra che ammazza la gente in maniera più che mai sanguinosa, e
allo stesso tempo è tutta una bella strada dritta, perché è una corsa, uno
scappa e l'altro gli corre dietro, perfetto. Se lì dentro non ci metti niente,
stai leggendo un bel libro di genere sui serial killer, a patto che sia scritto
bene. Ma finisce lì. E allora mi va benissimo che qualcuno obbietti, leggendo
questo libro, che non gli dice nulla della contemporaneità, che non è il
romanzo sociale che diciamo noi, non è il romanzo con risvolti politici… no,
infatti è soltanto un libro sui serial killer.
Cioè suspense, intrattenimento…
Un
libro di intrattenimento. Sacrosanto intrattenimento. Ed è una cosa legittima.
Non vedo perché ci debbano criticare a noi quando scriviamo libri di
intrattenimento e non critichino altre forme di letteratura, di cinema o di
televisione. Nessuno va mai a dire che quella serie tv è puro intrattenimento.
Vedi un varietà del sabato sera e non ti viene da pensare che è un peccato che
non abbia contenuti politici.
Allora,
esiste secondo me una letteratura di genere sacrosanta che fa intrattenimento,
che ti fa stare sveglio la notte finché non hai finito di leggere il libro. Ci
sono le famose tre notti che abbiamo in mente noi autori di un certo tipo, e
che sono: la prima, resti sveglio perché non puoi chiudere il libro finché non
l'hai finito; la seconda stai sveglio perché pensi "Oddio, ma davvero
succedono queste cose?"; e poi c'è la terza notte che la passi per pensare
a come possono cambiare le cose. Ci sono dei romanzi e degli scrittori che si
fermano alla prima notte, e quello è genere, e va benissimo. Poi ci sono gli
altri, e io vorrei essere tra questi, che arrivano fino alla terza.
Insisto. Ci può essere una sorta di evoluzione nel genere oggi che
abbia portato a mettere da parte l'esplosione di ribellione dei decenni
passati, tipica del noir, contro le regole consolatorie del giallo per
affermare la supremazia del caos, un'evoluzione che vede un romanzo ancora
carico di quella ribellione diciamo così giovanile ma tornato a riconsiderare
anche la razionalità consolatoria del giallo classico?
Non
lo so, ma è una domanda giusta. Dovremmo tornare, per rispondere, a quella
forte differenza tra il giallo e il noir: da una parte la consolazione del
giallo dall'altra l'inquietudine del noir. Vorresti dire che molti noiristi si
sono rimessi a scrivere gialli alla vecchia maniera? Non è così, secondo me. O
almeno, non è solo così. Certo, la regola del giallo classico della centralità
di un mistero da sciogliere funziona, giocare con le regole quadrate del giallo
funziona narrativamente, soprattutto se vuoi scrivere un libro che vende. Lo
fanno in molti, e si tratta di quella scrittura di genere di cui parlavo prima.
Ma non è così per molti altri. Mi rifaccio a me, ad esempio. Io mi considero un
autore di noir. Quando ho scritto il primo romanzo Carta bianca, col
commissario De Luca, all'inizio c'era un uomo ucciso in una stanza e c'erano
tre sospettati. Poi il romanzo che stavo scrivendo mi è esploso in mano ed è
diventato un romanzo noir storico ambientato nella Repubblica Sociale ecc. E
così ho fatto dopo negli altri romanzi. Allora forse sono un autore di noir che
ogni tanto gioca con le regole del genere giallo. Questo ultimo romanzo che ho
scritto si basa proprio su questo: mi piaceva giocare con quelle regole sapendo
però che stavo scrivendo anche un'altra cosa. Non è che adesso sono diventato
maturo mentre prima volevo far saltare il mondo, parlando della corruzione
della polizia e della sua inefficienza e cattiveria ecc. ecc. perché questo
romanzo di oggi è solo un episodio, e poi non sarà sempre così. Il prossimo che
scriverò spero che continuerà a essere altrettanto incendiario degli altri.
Forse potremmo usare un paragone con quello che a volte succede in musica. Si
dice: "torniamo agli anni Sessanta", ma non è per rifare le cose
degli anni Sessanta, si possono riprendere certi sound, certi arrangiamenti di
quell'epoca ma per metterli in un contesto che è tutto contemporaneo. Io ho
sempre paragonato il nostro genere al jazz. Non si può dire solo jazz, perché
devi aggiungere una serie infinita di etichette, perché il bee bop non è il
dixieland, eppure appartengono tutti a quell'unica grande famiglia, una musica
in cui si improvvisa basandosi su degli standard, che sono poi le regole del
giallo, e così via.
Nel
jazz ci sono ugualmente dei ritorni a, delle influenze di, o hai un autore di
jazz contemporaneo che ci mette dentro qualche influenza del dixieland per
dire, però non si può dire che siamo tornati indietro a rifare quelle stesse
cose di un tempo. Io non vedo un grande ritorno del giallo, se non una serie di
autori che fanno il loro lavoro. Ma noi continuiamo a fare le stesse cose.
Filippo
La Porta scrisse, attaccando il giallo italiano, «adesso non ditemi che non ho
letto i libri giusti», e io gli rispondo che no, non ha letto i libri giusti.
La stessa cosa scrisse Scalfari «ma il giallo si basa solo sulle venti regole»…
ma non è vero, non avete letto i libri giusti! Ora a Eco, che rispetto più di
altri, non dico che non abbia letto i libri giusti, dico però che se la sua
considerazione vuole stigmatizzare una prassi dell'editoria, sono d'accordo, se
invece vuole rappresentare il panorama del noir allora le cose sono più
complesse di come le etichette vogliono farle apparire. Per esempio, sono dei
grandi libri cartonati che mi arrivano dalle case editrici, cosa di cui sono
grato perché quelli che non tengo li distribuisco alle biblioteche della mia
zona e agli ospedali, mi arriva qualunque libro abbia scritto sopra "noir".
Se c'è scritto sopra "un noir dell'anima" ed è un libro di filosofia,
mi arriva. Una volta mi è arrivato perfino un manuale di pesca perché c'era
scritto sopra "si legge come un giallo"… Dunque mi arrivano libroni
enormi di questi oscuri scrittori americani che iniziano sempre con "il
venticinquenne sergente di Polizia di Suttfolk nell'Ohio e Jeffrey nonsochi non
avrebbero mai immaginato di trovarsi di fronte a un massacro come quello"…
e questi sono i libri sui serial killer e basta. Perfetto, quello è genere
puro, se tu leggi quelli e mi vieni a dire che il giallo non è letteratura
sociale, che è consolatorio perché alla fine il sergente venticinquenne mette
in galera il mostro, sono d'accordo. Poi ti posso dire che è pure un bel libro
scritto bene perché lo leggo tutto d'un fiato, mi dura una notte e poi lo butto
via. Ma non mi puoi dire che noi siamo tutti così.
Allo
stesso tempo si può dire che anche tanti classici non sono affatto consolatori.
Ad esempio Maigret non è per niente consolatorio; alla fine certo va tutto
bene, l'assassino è stato arrestato ecc., eppure c'è qualcosa che ti lascia in
sospeso, che non ti lascia contento. Così come non è consolatorio Carlotto.
Noi
dobbiamo assumere il punto di vista del romanzo per giudicare i nostri noir. Se
continuiamo a considerare il nostro genere la storia che ti racconto e non come
te la racconto, allora finisce lì. Consideriamo Sherlock Holmes, anche se lui
riesce a sconfiggere il dottor Moriarty e a mettere in galera i mostri che
fanno cose bizzarre nella sua Londra, resta comunque un tizio, con cui tu ti
identifichi, incredibilmente problematico, che è andato a ficcare il naso in
una metà oscura della società inglese del suo tempo che è paurosa. Allora è il
viaggio che fai con lui che non è per niente consolatorio. L'uomo che cerca,
per il fatto che cerca è un uomo angosciato e questo vale anche per Chandler. I
sui romanzi non sono consolatori, anche perché ti fanno fare un viaggio nei
bassifondi della società insieme a uno che sta male, e tu stai male insieme a
lui perché vivi nella società che ti fa star male, sei l'uomo che cerca, come
lui.
Comunque,
per concludere, oggi ritengo del tutto impossibile scrivere gialli, perché è
impossibile tornare indietro. Oggi noi vediamo la realtà in un certo modo, e la
realtà ci influenza in un modo che è del tutto diverso da come succedeva una
volta.
I
classici come una volta non si possono più scrivere perché siamo cambiati noi.
Possiamo scrivere utilizzando le tecniche del giallo, l'abbiamo sempre fatto ma
allo stesso tempi ci evolviamo, perché non siamo macchine da scrivere ma
autori, che cambiano secondo lo spirito del tempo. Una volta, quand'ero piccolo
e cominciavo a scrivere mi chiedevano cosa scrivevo e io dicevo: "scrivo
gialli, però non sono proprio gialli". Poi dopo siamo diventati noir. "Cosa
scrivi?" "Noir". Ci chiamavamo tutti noiristi, anche se ho
cominciato a mettere in discussione il termine quando mia moglie, che è di
colore, mi ha chiesto "ma cos'è il noir?" e io le ho risposto nero
come il buio, la morte ecc. e lei non capiva perché il nero dovesse avere tutte
queste sfaccettature negative.
Ma
adesso succede lo stesso, quando rispondo alla domanda cosa scrivo, dico che
scrivo noir, aggiungo che però non sono proprio noir. E più tardi ci chiameremo
con un'altra etichetta, che comunque tra un po' di anni non andrà più tanto
bene e allora se, mettiamo, la nuova etichetta sarà Giorgio, io dirò che sì,
scrivo giorgi, ma non sono proprio del tutto giorgi. E poi comunque non capisco
perché ce l'hanno sempre con noi, ci devono sempre scocciare con le etichette,
perché non chiedono a Baricco, per fare l'esempio di uno scrittore che mi
piace, perché scrive così e non altrimenti? Una volta, quando ero giovane e
avevo una faccia più pulita, mi ricordo che a ogni presentazione c'era sempre
qualche signora che poteva essere mia nonna che mi chiedeva: «Ma perché lei,
che ha un'aria così per bene, scrive di queste cose orribili?». Ecco, perché
non lo chiedono mai a Baricco? O a Veronesi? Magari hanno pure loro scritto di
suicidi e di drogati, ma a loro non lo chiedono mai perché scrivono "di
quelle cose là"… Insomma, alla fine questo è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare!