XXIV edizione
9/14 Dicembre 2014

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Gag & Noir
di Mario Serenellini


Anche nei suoi fantasmi erotici un autore di cartoon non esce dai cartoon. In
Solo un bacio… la seduttrice concupita dal disegnatore è la Biancaneve di Walt Disney. Per possederla, basta un tuffo dentro il foglio da disegno, quasi fosse lo schermo de La rosa purpurea del Cairo, dove l'adoratore a matita potrà finalmente sottomettere alle sue voglie il candido oggetto del desiderio. Ma ha dimenticato un particolare, anzi, sette: che accorrono furibondi e armati di piccozze. Solo la mela avvelenata, forse, lo salverà... Film tra i più iperbolici di Guido Manuli, Solo un bacio... è anche tra le sue prove più riuscite di metacinema, di rivisitazione umoristica o di manipolazione surreale di mitologie grande schermo, animato e dal vero.

Lo sberleffo disneyano si scatena in Casting, che esporta i miti di cartoon nella banalità fuori schermo, sottomettendo a immaginari provini un'armata Brancaleone d'impossibili Principi, Streghe, Nani (di cui uno troppo basso) e qualche riprovevole Biancaneve (tra cui una ingorda di frutta).

Altro marameo disneyano, Trailer, dove, per denunciare l'allergia del nostro Paese alla produzione di cartoon d'autore, il film rinuncia a farsi film limitandosi al proprio "trailer", concluso da un'autoironica questua barbona ai piedi d'un miliardario Mickey Mouse di passaggio: riscatto rassegnato del subordinato made in Italy, involontariamente profetico della recente, vergognosa deroga alla Disney sugli investimenti in produzioni europee, ritenute "non all'altezza" dal Topolinimpero.

Sempre attratto da parodia e paradosso, sodale a matita d'un maestro dell'eccesso comico - il Tex Avery di Bugs Bunny -, da cui mutua il gusto spasmodico nel capovolgere convenzioni, tradizioni, senso logico, Manuli, Tex Avery italico, forte d'una lunga pratica di varianti e attraversamenti sacrileghi persino nei territori del Dio del cartoon, approda anche all'autometacinema, con due corti speculari, ma di segno opposto, o forse no: terrore e erotismo. Sia Incubus che Erection son gangli di gag, catene di montaggio di finali e sottofinali inattesi, andirivieni entrambi notturni di sogni e bisogni, in corsa tra sonno e veglia su un unico lettone, parente prossimo della tavolata infinita e sempre interrotta del Buñuel de Il fascino discreto della borghesia.

Ma è negli ultimi cartoon, ancora inediti - accorpati a Courmayeur con il titolo di Tris d’ossa -, che Manuli smaschera il suo spirito noir travestito di risata, dando l'assalto a ulteriori tabernacoli del brivido cinematografico: Shoedsack-Cooper, Kubrick, Hitchcock. In Lassù qualcuno mi ama?, la meta celeste, prudentemente interrogativa, è la vetta d'un noto grattacielo newyorchese, già occupata, al momento sbagliato, da King Kong. The Eye ripercorre un corridoio gemello di Shining, dove si aprono e chiudono porte inconsapevoli o troppo colpevoli: vi si avventura, priva di ritegno, la prossima vittima, che si aggiunge ai passati trofei, in mostra sulle pareti, su sottofondo sonoro di sega elettrica.

Ma è in I love Hitchcock che Manuli, prendendo uno scarafaggino a testimonial, complice e vittima d'una nuova tappa di metacinema, schiva il bignamino divertito delle sequenze-clou, attingendo a un neo-montaggio del suspense. Niente scolastica successione di sketch di culto ma rimescolìo di carte, grande shampoo, sotto doccia battente, di "tutti gli altri" Hitch, da Finestra sul cortile a Gli uccelli. Con la conseguenza d'una sottolineatura della sua cine-grammatica, come la testa riversa, ma maschile, al posto della protagonista: la pioggia di Psycho è diventata fuoco d'artificio, spezzatino in celluloide che innaffia di brividi - e risate - l'intero cinema di Hitchcock.