XXIV edizione
9/14 Dicembre 2014

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Jeffery Deaver secondo se stesso

Maxim Jakubowski

I libri di Jeffery Deaver non hanno alcun messaggio diretto da trasmettere. Possono parlare della condizione sociale, delle cause intrinseche del bene e del male, di geopolitica, o degli istinti primordiali che rendono l'uomo un animale tanto pericoloso: di fatto, però, l'unica ambizione di Deaver, è quella di raccontare storie e ipnotizzare il lettore, sorprenderlo, scioccarlo, rendendolo incapace di abbandonare quelle pagine, fino a quando la storia non sia stata raccontata fino alla fine. In questo senso, Deaver assomiglia al compianto Giorgo Faletti, o forse è il contrario, poiché Faletti era un noto ammiratore delle sue trame magistralmente concepite e della sua narrazione frenetica (e vice versa). Nel più ampio ordine delle cose, il fatto che uno scrittore desideri solo abbagliare il lettore, catturandone l'immaginazione, potrebbe essere considerata un'ambizione minore, in tempi come questi, in cui il mondo trabocca di malvagità; tuttavia potrei controbattere con forza che in realtà questa è una vocazione assai nobile, perché le opere di puro intrattenimento, come ci ha spesso dimostrato l'Età d’Oro di Hollywood, rivela così tanto sul mondo e sugli impulsi più profondi dell'umanità, pur ignorandoli apertamente e attenendosi esclusivamente agli avvincenti sviluppi della trama. Un noto guru del cinema una volta ha detto che se avesse voluto inviare un messaggio, avrebbe preferito usare la Western Union. Deaver è il maestro della trama, e lascia che siano i suoi milioni di lettori a trarre le proprie conclusioni sul mondo, dopo essersi ripresi dalla velocità frenetica e ansante delle sue storie ingegnose, dai percorsi diabolicamente tortuosi, che li inchiodano a ogni pagina. Non riesco a immaginare nessun altro traguardo da lui raggiunto, se non la missione che egli stesso si è assegnato.

«Come scrittore di gialli sento la responsabilità di dare ai miei lettori la più rocambolesca storia di suspense che si possa immaginare. Questo significa che, piuttosto che sfogliare giornali e riviste alla ricerca di un'ispirazione, durante la prima fase di scrittura di un libro, trascorro gran parte del mio tempo in una stanza buia, cercando di immaginare la trama di un tipico romanzo di Deaver: una storia popolata da eroi forti (ma possibilmente pieni di difetti), individui psicopatici, malvagi e contorti, frequenti colpi di scena, un breve arco temporale in cui sviluppare l'intera storia (dalle otto alle quarantotto ore), grandi sorprese e un finale ricco di tensione».

Nato nel 1950 a Chicago, Jeff ha sempre voluto fare lo scrittore; si è laureato in giornalismo alla University of Missouri e in legge presso la Fordham University, iniziando a lavorare come giornalista prima di intraprendere una brillante carriera in campo legale, senza rinunciare a una breve apparizione come cantante folk. Dopo due incursioni nel genere  horror e poliziesco (Voodoo e Always a Thief sono ormai fuori catalogo e molto ambiti dai collezionisti), ha inaugurato la carriera di giallista con un tris di romanzi che presentano Rune, scaltra detective amatoriale invischiata nel losco background del mondo del cinema, iniziando nel 1988 con Manhattan Is My Beat (Nero a Manhattan, Milano, Rizzoli, 2009). Deaver ha continuato a esplorare il mondo del cinema con Shallow Graves (Sotto terra, Milano, Sonzogno, 2006), il primo libro di un'altra trilogia, stavolta incentrata su John Pellam, che di mestiere fa il location scout. Ma alla fine ha trovato il suo ritmo con una serie di avvincenti thriller psicologici a se stanti, che hanno riscosso un enorme successo: Mistress of Justice (La consulente, Milano, Rizzoli, 2012), The Lesson of Her Death (L'uomo del sole, Milano, Rizzoli, 2013), Praying for Sleep (Pietà per gli insonni, Milano, Baldini & Castoldi, 1994) e A Maiden's Grave (Il silenzio dei rapiti, Milano, Sonzogno, 1997), pubblicati in rapida successione, fra grandi consensi. Ma è stata la creazione di Lincoln Rhyme, il taciturno detective quadriplegico di cui spesso vengono menzionati i tormenti interiori, necessariamente assistito nelle sue indagini da una giovane e indipendente poliziotta, ex modella, di nome Amelia Sachs, e la pubblicazione del primo volume della serie nel 1997, The Bone Collector (Il collezionista di ossa, Milano, Sonzogno, 1998), ad aver consolidato la formula del suo successo: un approfondito lavoro di ricerca, una trama intricata densa di colpi di scena, un implicito patto con i lettori che vengono ricompensati per il tempo trascorso a leggere i suoi libri, e un potente miscuglio di emozioni e rivelazioni, senza quelle digressioni che spesso critica in altri.

«Se avessi il talento e l'energia per scrivere romanzi letterari, lo farei. È una cosa che ammiro, ma che non mi appartiene. Ogni libro ha la sua funzione. Si può leggere un romanzo che accresce la nostra conoscenza della condizione umana - e secondo me questa è l'essenza dell'arte - e che ci rende più consapevoli rispetto alle condizioni geopolitiche. Ma, anche se tutto questo è meraviglioso, e lo rispetto enormemente, non costituisce l'essenza di un thriller».

Deaver è infastidito dagli scrittori che si illudono rispetto al proprio lavoro. «Ho sentito gente dire, "Scrivo per me stesso", ma sapete che vi dico? Non è vero!». Per sua stessa definizione, scrivere significa comunicare.

«I poeti, in generale, toccano un pubblico molto più esiguo del mio, e la mia obiezione, quando sento un altro autore che si lamenta perché la gente non legge i suoi libri e non ascolta il suo messaggio, è: "Ci sarà pure un motivo per cui non li leggono!"».

Il resto, come si dice, è storia. Lincoln Rhyme e Amelia approdano sul grande schermo grazie alle interpretazioni di Denzel Washington e Angelina Jolie, e una pletora di premi raggiungono Deaver da ogni parte del mondo. L’undicesimo thriller con Lincoln Rhyme, The Skin Collector (L'ombra del collezionista, Milano, Rizzoli, 2014), pubblicato quest'anno in tutto il mondo, è il libro più recente della serie.

 

Deaver descrive Lincoln Rhyme e la nota influenza di Sherlock Holmes e Doctor Watson: «Anche Lincoln Rhyme deve cercare di indovinare in anticipo le mosse dell'assassino, e questo mi piace - afferma -. Odio i film in cui tutto si riduce al climax della scena finale, su chi riesce a pestare prima il "cattivo". In un film con Bruce Willis vediamo il personaggio negativo picchiare Bruce Willis. A cinque minuti dalla fine del film, lo sta ancora picchiando, ma nessuno mette in dubbio il fatto che Bruce Willis riuscirà in qualche modo a trovare una riserva di forza per avere la meglio su di lui… Conan Doyle non era così».

Noncurante di aver generato una serie acclamata in tutto il mondo che vende milioni di copie, Deaver alterna il suo lavoro con romanzi indipendenti, come ad esempio un'altra grande serie noir incentrata su Kathryn Dance (che nel 2006 aveva fatto una breve apparizione in uno dei romanzi di Rhyme, The Cold Moon, La luna fredda, Milano, Sonzogno, 2006, così come Rhyme appare anche lui qualche volta, nei romanzi di Dance). Dance lavora per il California Bureau of Investigations ed è dotata di poteri telecinetici, nonché della facoltà di leggere il linguaggio del corpo, una qualità che la rende capace di giudicare i suoi interrogati studiando le loro minime reazioni, e quindi la aiuta ad acciuffare i criminali. Questa serie rivaleggia in popolarità con i romanzi di Lincoln Rhyme, con cui condivide l'ampio ricorso alla scienza forense, un altro territorio intensamente esplorato da Deaver.

Tuttavia, i suoi romanzi si distinguono dagli altri soprattutto per la qualità dei loro personaggi negativi, che si rivelano particolari, fantasiosi e particolarmente sinistri. Questo si deve all'atmosfera di acuto terrore che pervade i suoi libri, e alla sua naturale propensione a intuire il modo in cui il lettore reagisce alla paura e alla minaccia. «Mi piace molto spaventare i miei lettori - dice Deaver - In realtà fa parte del il mio lavoro».

Il "cattivo" di The Skin Collector, ad esempio, è un artista di tatuaggi, e la descrizione del suo modus operandi, nel primo capitolo, non rovina affatto la sorpresa, pur rivelando come, al posto dell'inchiostro, l'assassino usi potenti veleni preparati appositamente, che uccidono in modo lento e doloroso, nonché le sue frequentazioni del vasto sottobosco newyorkese di tunnel e passaggi abbandonati, a caccia della sue vittime.

In questo senso Deaver sfrutta tre paure comuni: gli aghi, i veleni e i luoghi oscuri.

«Nel libro volevo creare soprattutto la sensazione di doversi guardare alle spalle quando si scende in cantina o nella lavanderia sotterranea… Potrebbe esserci qualcun altro appostato nel buio. Tutti hanno paura dei sotterranei, dell'oscurità. Qui, nella Carolina del Nord esistono le intercapedini fra un piano e l'altro, ma nel Midwest, dove sono cresciuto, c'erano gli scantinati. E quando vivevo a Manhattan, stavamo quasi sempre sotto terra. È inquietante».

Uno dei miei romanzi preferiti di Deaver è Garden of Beasts (Il giardino delle belve, Milano, Sonzogno, 2004), una vera e propria storia di spionaggio, in cui un sicario americano viene inviato in missione segreta nella Berlino nazista, con terribili conseguenze. Rappresenta un tentativo da parte dello scrittore di divagare dalla sua formula consolidata, per avventurarsi nella delicata ricostruzione di una realtà storica. Deaver riesce a evocare con maestria l’atmosfera degli entourage stranieri nella tormentata Germania di fine anni Trenta. Nel corso di una conversazione, mi ha confessato che nonostante sia anche il suo romanzo prediletto, ha rinunciato a esplorare questo particolare genere o a farne un sequel, essendo stato il libro meno fortunato dal punto di vista commerciale; un vero peccato, dato che ci aveva fornito un'ulteriore prova della varietà del suo talento. Tuttavia il libro non è stato completamente ignorato, perché quando ha vinto lo Steel Dagger in Inghilterra, è stato notato dai custodi del copyright di Ian Fleming, facendo di Deaver il secondo autore americano incaricato a scrivere un nuovo romanzo di James Bond. Ed ecco Carte Blanche (Carta bianca, Milano, Rizzoli, 2011), con 007 a Dubai, un altro grande best-seller internazionale che dimostra, ancora una volta, e a un pubblico completamente nuovo, le sue ammirevoli qualità di autore, il suo talento nella caratterizzazione e la sua abilità nel descrivere l'azione.

Quando si è saputo che Deaver avrebbe fatto il suo ingresso nel franchise di Bond, l'autore ha rivelato: «Il romanzo conserva la personalità di James Bond così come è stato creato da Fleming, con il tono unico che l'autore ha trasmesso ai suoi libri, pur assorbendo le mie personali caratteristiche letterarie: una ricerca dettagliata, un ritmo rapido ed eventi a sorpresa». Alla domanda di come sia riuscito a immergersi nella mente della leggendaria spia britannica, risponde: «La responsabilità di uno scrittore, di un autore di romanzi, è quella di scivolare nella mente di tutti suoi personaggi. E farlo è una cosa che mi piace moltissimo. Sono una persona piuttosto empatica. Questo non ha una valenza necessariamente positiva, cioè non vuol dire che mi occupo per forza del benessere altrui. In realtà vuol dire che grazie ai miei sessanta anni di esperienza, quando incontro qualcuno e svolgo delle ricerche sulla sua vita, riesco a inquadrarlo e a scrivere qualcosa di credibile su questa persona. Ho descritto anziani afro-americani, teenager, donne, eroi, persone malvage. Ho una certa dimestichezza, che non chiamerei talento, bensì una facilità, che unita a una buona dose di impegno e di ricerca, mi permette di penetrare nella mente di un altro individuo. Quindi per me, non è stato affatto difficile creare il personaggio di Bond come tutti lo conoscono, nonostante sia inglese… tecnicamente scozzese con madre svizzera, ma è comunque un cittadino britannico».

E, manco a dirlo, Deaver ha fatto di nuovo centro, consolidando il suo status di uno dei migliori scrittori di gialli del mondo.

Negli anni a venire assisteremo senza dubbio a nuovi e pericolosi exploit di Lincoln Rhyme, Amelia Sachs e Kathryn Dance, ma sono certo che Jeff continuerà a sorprenderci con altre storie originali e imprevedibili (non ho già detto che è uno dei massimi esperti di brevi racconti noir, che pur nella loro lunghezza contenuta, si rivelano puntualmente piccole gemme confezionate con la massima precisione?) e a deliziarci con vari romanzi che non fanno parte di nessuna serie e, chissà, forse persino con un breve ritorno alla musica folk…

Nessuno più di lui merita il Raymond Chandler Award!