Il tema dell’anno di questa edizione porta il titolo Le mani sulle città. Un’occasione per riflettere su come la criminalità sia cambiata nel tempo, assumendo forme per certi versi più inquietanti, perché difficilmente individuabili, soprattutto nelle due città di riferimento: Roma e Milano. Quindi dalla suggestione del film di Francesco Rosi, passando per l’epica della malavita degli anni Settanta, per poi attraversare le vicende della Banda della Magliana, gli ospiti si sono concentrati sugli intrecci attuali tra società civile, mondo politico e occupazione mafiosa delle metropoli.
A coordinare l’incontro, Gaetano Savatteri che ha sollecitato sei ospiti divisi in due gruppi simmetrici, invitati a rappresentare equamente le due città chiamate in causa.
Il giornalista de «il Corriere della Sera», Andrea Galli, ha raccolto per primo l’invito di Savatteri e ha portato il discorso sulla più stringente attualità. «A Milano lunedì arriverà il ministro Alfano e per due giorni si parlerà delle più incredibili misure di sicurezza adottate per l'Expo, ma nessuno dirà niente su come la ‘Ndrangheta sia entrata in questo affare». Un discorso, quello di Galli, teso a rimarcare quanto ancora oggi, nonostante indagini e arresti, si tenda a definire la conquista delle città da parte della mafia, un mito letterario.
A confermare questa difficoltà nello smascherare la potente presenza di una criminalità organizzata nelle metropoli, Lirio Abbate, giornalista dell’«Espresso» che ha denunciato la mancanza, a oggi, di una sentenza che stabilisca la presenza della mafia a Roma: «Però accade che la capitale sia in mano a poche persone». E questi individui regolano il mercato della droga, la circolazione del denaro, il comando delle imprese, dalla più piccole a quelle più grandi.
Giuseppe Gennari, autore per Mondadori de Le fondamenta della città, ha proseguito sulla linea dei suoi predecessori: «Ci sono alcuni settori a cui la ‘Ndrangheta non è interessata, come la prostituzione e il mercato della droga al dettaglio che, infatti, sono gestite da varie realtà criminali. La grande abilità della mafia calabrese è stata quella di entrare in profondità nelle maglie dell’ambiente sociale ed economico lombardo».
La parola è passata al magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo, chiamato insieme a Carlo Bonini anche a presentare il nuovo libro scritto a quattro mani, Suburra: «Il primo grande processo a Roma per un reato di mafia - ha detto il magistrato - fu diviso in due parti. E una sentenza riguardò effettivamente reati di mafia. Ma il processo più grande invece si risolse puntando tutto sul mercato della droga. Purtroppo ogni volta che qualcuno si sorprende che forse esiste un fenomeno mafioso a Roma, a noi tocca fare una risata amara».
Il coautore di Suburra, Carlo Bonini ha ribadito: «La sostanza è proprio nella scomparsa dell'intercapedine che distingue il mondo dell'illegalità da quello della legalità. I Casamonica, ad esempio, usano studi professionali come depositi della droga. L'immagine della mafia vecchio stile non esiste più. Le figure dei consumatori e delle vittime in generale, sono diventate soci minoritari. C'è un'area, che non appartiene alle famiglie mafiose, che lavora per l'organizzazione. E questo significa che si attenua l'allarme sociale. Si parla meno della mafia, perché è difficile dare una connotazione mafiosa a persone che non sono direttamente collegate a essa».
A chiudere il ciclo di interventi, lo scrittore Gianni Biondillo: «Bisogna ragionare su una scala a due livelli. Quello della strada, ad esempio a Quarto Oggiaro, dove esiste un controllo capillare casa per casa. La condizione del quotidiano, in cui si avverte il disagio sociale. Ma questo primo livello è "niente". È l'altro livello che non viene controllato. Quello che sposta il fenomeno criminale sul piano internazionale. È una criminalità che non uccide per strada e quindi si vede meno, ma blocca e controlla tutto».