«Lavorare con molti o pochissimi soldi è la stessa cosa. È tutta una questione di saper raccontare una storia» diceva John Carpenter. Si potrebbe partire da questa affermazione per raccontare luci e ombre delle nuove factory del cinema horror italiano, al centro del terzo convegno Vedo Nero, promosso da Istituto Luce Cinecittà e da sempre volto a trasformare il festival, come afferma Giorgio Gosetti, «in una piattaforma di incontro per persone di campi diversi uniti da una stessa passione, che mescola idee e stimoli per confrontarsi e dialogare».
Il sottobosco artistico e produttivo di questo mondo è composto da giovani, talvolta giovanissimi autori e maestranze, appassionati del genere e disposti a sforzi considerevoli pur di realizzare i propri film. Alla presenza di Dario Argento e sotto la supervisione di Federico Greco, gli oltre diciotto tra filmmaker, produttori e attori presenti all’incontro si sono raccontati al pubblico del festival, facendone emergere criticità e aspetti positivi.
L’elemento probabilmente più macroscopico emerso da quasi tutti gli interventi è la facilità con cui prodotti di genere italiani trovano distribuzione presso nazioni straniere come Stati Uniti, Canada, Germania e sud America. «In Italia - afferma il produttore Claudio Bronzo - film di genere o sottogenere come i mockumentary hanno un mercato praticamente nullo. Il nostro Gerber Syndrome ha trovato distribuzione prima negli Stati Uniti e in Canada che in Italia. Solo sulla scia del successo all’estero siamo riusciti a portarlo anche qui».
Il regista Domiziano Delvaux Cristopharo, invece, parla di un suo progetto ignorato per cinque anni in Italia e prodotto in soli due mesi negli Stati Uniti, alludendo a un’attenzione per il genere quasi del tutto sconosciuta in Italia ma molto frequente all’estero, come conferma John Real, filmaker venticinquenne: mentre in Italia si è ancora considerati "giovani registi" a quarant’anni, «negli Stati Uniti alla mia età si distribuiscono film indipendenti». Anche la produttrice Manuela Cacciamani racconta di come Neverlake, presentato al festival nella sezione Eventi, sia stato venduto in Germania «e da giugno sarà disponibile anche in 3-D. Il fatto che una società abbia investito tre volte il budget del film per portarlo in 3-D è una cosa che ci fa molto piacere».
La seconda linea di tendenza generale, quasi una vera e propria difesa della dignità di chi fa cinema di genere, la esprime con chiarezza il distributore e produttore Giovanni Costantino: «La commedia noir Falene, che abbiamo prodotto qualche anno fa, è costata poco meno di 50mila euro, ma abbiamo avuto a disposizione delle maestranze tecniche e artistiche incredibili. Questi film sono investimenti di "talenti", hanno un valore in sé rispetto a quello che si è speso, un elemento spesso ignorato dalla critica che pone l’accento solo sul fatto che siano prodotti low budget». Gli fa eco il regista Edo Tagliavini, che a proposito del suo Blood Line, racconta: «Abbiamo ottenuto la distribuzione in Germania e Stati Uniti, e il film ci è costato 70mila euro; ma questa cifra non è indicativa del reale valore del film, legato a tantissimi investimenti personali e professionali di persone che spesso mettono a disposizione le proprie competenze gratis o a cifre irrisorie».
Ritornando all’affermazione di Carpenter sopracitata, la capacità di raccontare una storia e la bravura nel farlo non è una qualità che manca agli artigiani italiani, e il successo che riscuotono all’estero ne è una lampante dimostrazione. Il genere è vivo, continua a sperimentare soluzioni innovative e a guadagnare consensi da un pubblico di agguerriti aficionados, come dimostra il successo di Crisula Stafida, attrice di origini italo-greche che anche grazie al film horror Tulpa di Federico Zampaglione, si è ritagliata l’appellativo di scream queen, che accetta con piacere. A lei è andato il premio che FilmHouse ogni anno conferisce a un protagonista emergente della cinematografia italiana, consegnato da Luca Svizzeretto.
Le difficoltà produttive legate al genere, tuttavia, continuano a rappresentare un ostacolo talvolta insormontabile, che sfibra anche i registi più convinti, demoralizza gli esercenti, succubi di circoli viziosi legati a compromessi imposti dai grandi circuiti distributivi, e costringe le produzioni indipendenti a lavorare con budget esigui che sviliscono l’operato di chi ci lavora. Un problema non da poco in un contesto molto competitivo in cui, a fronte della presenza massiccia di prodotti analoghi provenienti in gran parte dagli Stati Uniti, i film italiani rischiano di essere una minoranza invisibile.
È vero, dunque, come afferma il produttore Luca Boni, che «le idee contano, ma bisogna avere la qualità. Non è vero che i film si possono fare con duemila euro. Sono tre anni che convogliamo soldi dall’estero in Italia, bisogna avere una mentalità più imprenditoriale». Se, come ribadisce anche Manuela Cacciamani, «va sfruttata tutta la tecnologia disponibile, rispondendo alle esigenze del mercato», una delle direzioni possibili è la creazione di un contesto imprenditoriale italiano che riconosca il valore dei film di genere mettendogli a disposizione risorse economiche e tecniche in grado di vincere la competizione del mercato e offrire alternative al flusso di prodotti affini provenienti dall’estero.
A tal proposito, il web può essere uno strumento utile alla causa ma, come evidenzia Tagliavini, è un’arma a doppio taglio, spesso utilizzato per gonfiare prodotti di scarsa qualità e non garantisce un apporto economico paragonabile a quelli delle produzioni tradizionali. Anche i canali dei festival e di una certa distribuzione, afferma Costantino, sono talvolta finalizzati alla creazione di eventi mediatici che danno grandissima visibilità a film che poi monopolizzano il mercato, scalzando produzioni più piccole ma non per questo meno valide.
Soluzioni facili o immediate non esistono, soprattutto in un contesto come quello italiano, un arcipelago di piccole produzioni, ognuna alla ricerca di una propria via per emergere e affermare la propria qualità creativa e qualitativa, che solo recentemente hanno iniziato a far fronte unito per aspirare a qualcosa di più della mera sopravvivenza. Una prima richiesta emerge già a gran voce da diversi protagonisti del convegno, di cui Costantino e Boni sembrano farsi portavoce: avere il sostegno dei grandi autori del passato, come Dario Argento, affinché facciano da traghettatori dal cinema horror sperimentale, inventivo, originale e imprevedibile che ha reso celebre l’Italia nel mondo fino ai primi anni Novanta, e i nuovi protagonisti italiani dell’horror, in attesa solo di un’occasione per trovare voce, rispetto e dignità presso un pubblico disabituatosi a considerare grande il cinema di genere italiano.